Batte la crisi
È una bella sfida per Alessandro Fedrigoni, una laurea in ingegneria cartaria a Monaco di Baviera, presidente e nipote del fondatore del gruppo veronese che ha 126 anni di storia. Ma ben calcolata. Il settore della carta a livello mondiale vale un fatturato di 400 miliardi che nell’ultimo quinquennio si è eroso del 4% l’anno. Colpa del calo dei consumi, delle difficoltà dell’editoria e della diminuzione di pubblicità e cataloghi. Nomi blasonati come Burgo e Pigna stanno del resto vivendo momenti difficili, tra debito elevato e costi insostenibili.
Fedrigoni ha invece battuto la crisi. Dal 2007 il giro d’affari è cresciuto del 30% fino agli oltre 810 milioni dell’esercizio scorso, che chiuderà con un ebitda che si stima in crescita rispetto agli 88 milioni del 2012, debiti netti più che dimezzati rispetto ai 220 di tre anni fa e un ritorno sul capitale investito pari al 20%. Merito del taglio di costi energetici e al consumo d’acqua, mai della manodopera. Ma anche di lungimiranza e scelte strategiche.
Stampa euro e rupie
Qualche esempio? Fedrigoni è uno dei pochi fornitori della Bce per la stampa dell’euro, ma produce anche rupie, yuan fino alle carte per assegni e passaporti, grazie a un concentrato di tecnologie con fili metallici, filigrane e ologrammi realizzati a Fabriano dalle Cartiere Miliani, rilevate dieci anni fa dal Poligrafico dello Stato e che si apprestano a celebrare i 750 anni di vita. È un’attività che fa della multinazionale una delle prime realtà in Europa nelle carte speciali.
Se il progetto Borsa andrà in porto, Piazza Affari ospiterà un altro nome di rango dell’industria cartaria, dopo il delisting di Burgo. Il momento è positivo secondo il mercato, perché gli investitori sono tornati a scommettere sul manifatturiero. Quello che esporta, come nel caso di Verona che vende all’estero il 70%. Nel 2011 l’Ipo prevedeva di classare il 35% con una Opvs, cioè in parte con vendita di azioni e in parte in sottoscrizione, con una capitalizzazione teorica stimata in ben oltre 800 milioni.
Questo il passato. Da allora i titoli dei concorrenti hanno preso fiato sui listini. Dai finlandesi di Stora Enso e Upm alla cinese Shandong chenming il cui rapporto tra valore d’impresa ed ebitda è addirittura pari a nove volte. A Verona si è così deciso di sondare di nuovo umori e prospettive del mercato.
Ci vuole taglia
Ma non è il solo motivo. Fedrigoni cresce e fa profitti, ha 11 impianti (nove in Italia, due tra Spagna e Brasile), 2 mila addetti e clienti globali, ma è ancora piccola rispetto ai suoi omologhi in Nord Europa , Cina e Sudafrica (Sappi), più grandi anche di dieci volte.
Per stare in gara e cogliere occasioni servono risorse. Senza contare che farebbe gioco avere azioni quotate nell’ambito di eventuali aggregazioni. La struttura societaria è pronta. La famiglia, nome di spicco dell’imprenditoria locale, ha concluso un riassetto che ha concentrato il business nella Fedrigoni spa. Così ridisegnata ha tutti gli ingredienti per sbarcare in Borsa con produzioni di carta per stampa, banconote e sicurezza, etichette (i grandi nomi di vino e champagne «vestono» Fedrigoni) e packaging per i marchi del lusso. Dipenderà dalla direzione dei venti sui listini.