27.04.2021

Draghi scuote l’Aula “Nel Piano le nostre vite no a interessi e corrotti”

  • La Repubblica
Gli uomini di palazzo Chigi avevano messo le mani avanti: «Non aspettatevi da Draghi voli pindarici, perché è il Piano stesso un grande volo pindarico ». Ma il minimalismo tipicamente “draghiano” dello staff alla fine è stato in parte tradito dal capo del governo, chiamato ieri a spiegare al Parlamento come intende svolgere il compito per cui è stato chiamato lì da Sergio Mattarella: riacciuffare l’Italia per i capelli e tirarla fuori dalla palude in cui sta affondando. Certo, la scommessa è al limite dell’azzardo. Bisogna spendere in pochi anni i 248 miliardi che complessivamente compongono il Recovery plan, una cifra così alta che mai il Paese si è trovato a investire. Draghi professa ottimismo, e non potrebbe fare diversamente, a patto tuttavia che i tre cavalieri bianchi «onestà, intelligenza e gusto del futuro», prevarranno sui tre cavalieri neri, sempre i soliti da anni: «La corruzione, la stupidità e gli interessi costituiti ». E quindi, vista la posta in gioco, un po’ di retorica ci sta. Ce la faremo anche stavolta, assicura il presidente del Consiglio e «questa certezza non è sconsiderato ottimismo, ma fiducia negli italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità». Il «mio popolo », dice testualmente. Ci sta prendendo gusto.
E tuttavia di responsabilità negli ultimi giorni non se ne è vista troppa nella sua maggioranza, con un partito che si astiene in Cdm su un decreto delicatissimo e inizia a raccogliere le firme contro le restrizioni decise dal governo di cui fa parte. Draghi naturalmente si guarda bene dal citare Salvini in maniera diretta. Ma i deputati del Carroccio si scrutano l’un l’altro e capiscono al volo con chi ce l’abbia quando si sofferma sulle «miopi visioni di parte» che «anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio». Il premier si appella allo «spirito repubblicano », un sentimento che aveva già evocato all’inizio della sua esperienza. Considerato anche dagli estimatori un economista freddo, abituato più alle considerazioni finali da governatore della Banca d’Italia che agli appelli “caldi” da retore, si concede una vibrazione più umana quando mette per un momento da parte l’elenco dei miliardi a bilancio su ognuna delle sei missioni di cui è costituito il Piano di ripresa e resilienza e alza gli occhi all’Aula: «Vi proporrei di leggere il Piano anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno ». Nella presentazione di questo Pnrr c’è un po’ un’aria mesta da ultima spiaggia, sembra che tutti ne siano consapevoli. Del resto nella settimana in cui l’Economist ha invitato a moderare le aspettative su Draghi, perché nemmeno lui può fare «miracoli», mentre il Financial Times ancora ieri dipingeva l’Italia come il «teppista» d’Europa, non c’è da farsi illusioni sul generale scetticismo che circonda il Paese. Draghi sembra consapevole di avere a che fare con un Parlamento di anime morte, anche se ha la buona educazione di non dirlo, anzi di offrire il suo ringraziamento alle Camere. E persino a Conte perché il Pnrr «ha grandemente beneficiato dell’azione svolta dal precedente governo». Ma nella sostanza il premier ha passato il tosaerba sulle richieste dei partiti. Sulla cabina di regia – «quella che altri chiamano governance», dice un po’ civettuolo l’uomo che per 8 anni alla Bce ha parlato solo inglese – decidono palazzo Chigi e il ministero dell’Economia. Punto. Fatevene una ragione. I Cinque Stelle chiedevano garanzie sul prolungamento del Superbonus del 110%, bandiera di un M5S rimasto senza bussola. Ma Draghi non offre nulla più che una promessa: «Per il futuro, il governo si impegna a inserire nel disegno di legge di bilancio del 2022 una proroga dell’ecobonus per il 2023, tenendo conto dei dati relativi alla sua applicazione nel 2021». Gli ex grillini ci restano male. «Così si lasciano nell’incertezza milioni di cittadini», dice Riccardo Fraccaro, che della misura fu il padre e la madre quando era ministro di Conte. Se ne farà una ragione anche lui.
Draghi tira dritto. Incurante anche delle obiezioni non proprio infondate del capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida, arrabbiato per non aver avuto il tempo di esaminare il testo. «Ci avete mandato l’ultima versione alle 14.00, due ore prima dell’inizio della seduta. Come pensate che possiamo esaminare 336 pagine? La verità è che voteremo un testo che qui dentro nessuno avrà letto». FdI chiede un rinvio, così come Sinistra Italiana con Fratoianni e Andrea Colletti, un deputato di un sottogruppo di espulsi M5S che si chiama “l’alternativa c’è” (alternativa a cosa? A Conte? A Draghi? Al capitalismo? Mah…). Lollobrigida si ferma con i giornalisti e ricorda che la crisi del governo Conte iniziò per gli stessi motivi, con Renzi che si lamentava di aver ricevuto di notte una mail con allegato il Pnrr a poche ore dalla presentazione in Parlamento. In effetti…altri tempi: a Draghi viene per ora perdonato quasi tutto.
Il premier tira dritto e conclude i suoi quaranta minuti di intervento, contrappuntati da 13 timidi clap-clap di buona educazione, con un’unica citazione, tratta da un discorso di Alcide De Gasperi: «L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune». Qualcuno corrisponde a questo identikit? C’è da sperare di sì. Bruno Tabacci, che Draghi ha messo al Cipe insieme all’economista Marco Leonardi, è il primo a scattare e congratularsi sotto al banco della presidenza. Da vecchio diccì ha apprezzato la citazione di De Gasperi e commenta l’atmosfera vagamente rassegnata con cui la gran parte dei parlamentari ha accolto l’intervento di “superMario”. «Draghi ha dimostrato di essere un politico di una raffinatezza unica, ma si confronta con un Parlamento dove domina una scolarità politica bassa». E forse non solo quella politica. Oggi la replica e il voto.