Questo, probabilmente, è stato uno dei temi in discussione nella riunione dei Governatori che si è protratta fino a oltre le 21 di ieri sera. Alcuni banche centrali europee da tempo sono infatti critiche nei confronti della continua erogazione di liquidità di emergenza alla Grecia. Il presidente della tedesca Bundesbank, Jens Weidmann, ha detto che l’operazione dovrebbe essere limitata nel tempo e non costituire un finanziamento al governo, vietato dalla norme che regolano l’attività della Bce; il denaro erogato alle banche, invece, in parte finisce anche a finanziare lo Stato. Dall’altra parte, Draghi e altri banchieri centrali ritengono che ridurre la liquidità al sistema greco in questo passaggio significherebbe innescare uno o più fallimenti che in breve tempo potrebbero portare al crollo dell’intero sistema finanziario greco e all’uscita del Paese dall’euro. La Bce non vuole essere responsabile di un risultato del genere.
La situazione delle quattro grandi banche elleniche – Banca Nazionale di Grecia, Piraeus, Alpha Bank, Eurobank – è già estremamente delicata. Il fatto di avere in portafoglio notevoli quantità di titoli dello Stato le condanna a seguire il destino del Paese. Il quale, questo è l’elemento chiave, martedì è andato in “arretrato” (cioè non ha onorato) una rata di debito in scadenza presso il Fondo monetario internazionale (evento mai accaduto per un Paese occidentale). Già oggi, l’agenzia di rating Fitch pone le banche greche in restricted default: significa che non hanno rispettato le obbligazioni che avevano preso ma non sono ancora in bancarotta. In questa situazione in bilico, basta un passo falso per precipitare una crisi incontrollabile.
Di fronte alla scarsità di liquidità negli istituti di credito, alcuni analisti non escludono che il governo di Atene debba restringere ulteriormente i controlli messi in essere da lunedì scorso, cioè ridurre il tetto di 60 euro prelevabili giornalmente.