06.03.2013

Dow Jones inarrestabile tocca i massimi da sempre le Borse europee in festa

  • La Repubblica

È un Toro timido ma robusto: e compie quattro anni. Il boom di Borsa più strano della storia, forse, ha segnato ieri il record assoluto. L’indice Dow Jones ha superato il massimo di tutti i tempi, polverizzando il record pre-crisi che era di 14.164 punti. L’exploit di Wall Street trascina e rafforza anche le Borse asiatiche ed europee, neutralizzando il revival di apprensioni sull’eurozona dopo il voto italiano. Non solo la Borsa Usa cancella completamente i danni compiuti dalla crisi del 2007-2008, ma il suo rialzo è una galoppata di lunga lena, un trend ormai consolidato. Il 9 marzo questo Toro festeggerà il suo quarto anniversario. La definizione di un periodo “Toro” infatti si misura partendo dai minimi (l’ultimo picco in discesa fu il 9 marzo 2009) e deve esibire guadagni di almeno il 20%. Siamo ben oltre. In 1.458 giorni l’indice Dow Jones ha messo a segno un rialzo del 118%. Una performance quasi inverosimile, se paragonata con quel che accade all’economia reale. Certo l’America è in ripresa, con un Pil positivo da più di due anni che ha contribuito alla rielezione di Barack Obama. E tuttavia è una ripresa fiacca. Il Pil cresce a malapena
oltre il 2% annuo (con rallentamenti vistosi come l’ultimo trimestre del 2012 in cui ha fatto +0,1%) e la disoccupazione resta vicina all’8%. Il mercato del lavoro americano si può definire vigoroso solo in confronto con quello europeo; se invece il paragone viene fatto con la storia passata degli Stati Uniti la disoccupazione resta a livelli insolitamente elevati.
Il record assoluto di Wall Street ieri ha coinciso con un dato positivo in provenienza dall’economia reale: un indicatore di forte ripresa dei servizi, che ormai in un’economia post-industriale come quella americana pesano più dell’80%. Però nei servizi si creano anche tanti lavori sottopagati, è lì che si trova buona parte di quei dipendenti ai quali Obama vuole alzare il salario minimo legale, perché ai livelli attuali (7,25 dollari l’ora) sono sotto la soglia della povertà. E’ una ripresa a due velocità, con i consumi trainati dai ceti medioalti: gli stessi dove si concentra anche il guadagno sul mercato immobiliare. Ma la divaricazione tra la crescita fiacca dell’economia reale e il rialzo poderoso di Wall Street ha una spiegazione: la politica monetaria. E’ la Federal Reserve, con la sua abbondante creazione di liquidità (85 miliardi di dollari di acquisti di bond ogni mese) che sta “fabbricando” questo rialzo dei mercati finanziari. Stampando moneta e pompandola nell’economia americana, la Fed ottiene diversi effetti benefici. Uno è il dollaro relativamente debole che ha trainato la ripresa dell’export made in Usa e rimpinguato i profitti delle multinazionali. Più importante è il fatto che la Fed acquistando bond ne ha alzato i prezzi e depresso i rendimenti. Oggi un Treasury bond rende meno dell’inflazione, mettere lì i propri risparmi significa perdere valore.
Le azioni rendono fra il 3% e il 4% di dividendi: il differenziale è favorevole. Donde la “grande rotazione” che sta spostando capitali dai bond verso le azioni.
L’attuale Toro non è eccezionale, rispetto ad altri precedenti: è all’ottavo posto tra le fasi di rialzo nella storia se misurato in guadagno percentuale, al settimo posto per durata temporale. E’ leggermente superiore alla media: le fasi Toro della Borsa americana hanno una durata di due anni e mezzo e un guadagno di oltre il 100%. Alcuni precedenti fanno paura, è vero: il Toro più lungo durò otto anni e vide un rialzo del 500% ma si concluse con il crac del 1929. Stavolta non sembrano esserci le caratteristiche di una bolla, non ancora: il quoziente price/earning è attorno a quota 15, un livello normale.
Tuttavia ciò che rende “strano” questo Toro è il clima che lo circonda. Forse proprio perché coincide con una ripresa troppo moderata dell’economia reale, e forse anche perché i risparmiatori sono stati traumatizzati dalle crisi precedenti. Sta di fatto che l’afflusso di capitali in Borsa è rimasto cauto. Pesano il ricordo del disastro sistemico del 2008 e di crac precedenti come la bolla della New Economy nel 2000. Solo a gennaio la quantità di capitali investiti in azioni (34 miliardi) è tornata ad essere normale per una fase di Toro. Ma il volume quotidiano delle transazioni, a 3,6 miliardi di azioni scambiate, resta piuttosto basso. L’orizzonte presenta diversi rischi: dall’effetto frenante dei tagli di spesa automatici entrati in vigore venerdì scorso a Washington, fino alla prospettiva che la Fed interrompa la sua generosa “manna monetaria”. Un giorno o l’altro dovrà pur accadere.