Rush finale per l’aggiornamento del Documento di economia e finanza stasera all’esame dal Consiglio dei ministri. Una vigilia segnata da un ulteriore pressing di Matteo Renzi sull’Europa: «I soldi che spendiamo per i migranti e per il terremoto, soprattutto per le scuole, non li voglio conteggiati nel patto di stabilità. Questo lo abbiamo detto e lo facciamo. La Ue si mette contro? Si fa lo stesso», ha ammonito intervistato ieri sera a “Quinta colonna” su Rete 4.
Il premier è entrato anche nel merito della legge di bilancio esercitandosi in trasmissione in un “patto della lavagna” con tanto di pennarello con cui ha tracciato cifre e misure in ironica contrapposizione con il berlusconiano “contratto con gli italiani” del 2001 da Vespa: «Alle pensioni minime fino a 750 euro viene data una cosiddetta quattordicesima, che è attorno ai 40 euro. Stiamo cercando di tirare su questo limite, il nostro obiettivo sarebbe arrivare il più possibile vicino ai 1.000 euro di pensione: vediamo se ce la facciamo. A questi raddoppiamo la quattordicesima e anziché 40 avranno 80 euro in un’unica soluzione».
Parole che sono giunte alla fine di una giornata segnata dalla maratona dei lavori di limatura del Def al Tesoro e a Palazzo Chigi. «Sarà un documento complesso e molto articolato » con una «impostazione consolidata », ha assicurato ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti.
La sfida principale è quella di “tenere” sulla crescita. L’obiettivo del governo è di attestarsi sulla linea dell’1 per cento (meno della stima di sei mesi fa dell’esecutivo che era 1,4 e più di quanto, ad esempio, prevede l’Ocse ferma allo 0,8 per cento). Senza l’intervento di stimolo, pari a circa 7-8 miliardi, il Pil si arresterebbe addirittura allo 0,6-0,7 per cento: con la manovra, secondo il governo, si potrà cifrare l’1 per cento.
L’IPOTESI DEL “FUORI PATTO”
Il deficit salirà: almeno al 2,3-2,4 per cento che Renzi conta di strappare a Bruxelles. La motivazione che ci porta a chiedere ed ottenere il via libera, accantonata la vecchia flessibilità della «Comunicazione Juncker» già utilizzata quest’anno e non replicabile, sono le «circostanze eccezionali », terremoto e migranti. Uno 0,4 in più, che alcuni chiamano un «fuori patto», che in parte potrebbe essere “aggiunto” e “corretto” durante il percorso della legge di bilancio fino a raggiungere il 2,5 per cento. Alle motivazioni che portano a riconsiderare il quadro, in chiave anti-austerità, da considerare anche un peggioramento del deficit dovuto alla scarsa crescita dello 0,1-0,2 per cento.
Sul piano dei numeri complessivi della manovra il percorso resta legato inevitabilmente alla necessità di scongiurare l’aumento dell’Iva di 2 punti già legge per il 2017: il costo è di 15,1 miliardi pari allo 0,9 del Pil. Il vecchio tendenziale era all’1,4 (aumento “Iva inclusa”), a maggio ci è stato parzialmente concesso dalla Ue di arrivare all’1,8 per cento (6,4 miliardi di flessibilità), oggi con il 2,4 avremmo un ulteriore 0,6 (circa 9 miliardi) che ci consente di “riparare” anche i danni sul deficit della scarsa crescita.
LA MANOVRA “A DARE” E I TAGLI.
In tutto, tra scampato aumento delle tasse per 15,1 miliardi e interventi sull’economia, la manovra lorda sarà di 22-24 miliardi. Il governo è infatti impegnato a varare nella prossima legge di bilancio una serie di misure di sostegno ai redditi e di rilancio dell’economia: pensioni, contratti degli statali, povertà, Industria 4.0 (superammortamento, imposta unica per le società di persone, salario di produttività), ecobonus e interventi sui condomini, bonus scuola-bis, investimenti e, naturalmente, terremoto: circa 7-8 miliardi che dovranno trovare adeguate coperture. Si va da sanità, spending review, partecipate, oltre a misure per nuove entrate come la voluntary disclosure-bis.
Roberto Petrini