20.11.2020

Il documento firmato dal superfunzionario Ue “L’Italia acceleri sul Piano”

  • La Repubblica
A livello europeo, una situazione così preoccupante impone di finalizzare l’accordo sul Next Generation Plan nel più breve tempo possibile; a livello italiano, essa sollecita ad accelerare l’elaborazione e la presentazione di un credibile piano». Questa frase è contenuta in quello che a Bruxelles chiamano “paper”. Un documento. Non si tratta di un atto ufficiale delle istituzioni comunitarie, ma chi lo ha elaborato ne fa parte. Si tratta di Marco Buti, l’attuale capo di Gabinetto del commissario all’economia, Paolo Gentiloni, e per anni direttore generale per gli Affari economici e Finanziaria della Commssione europea. Una delle eccellenze italiane nelle strutture comunitarie, di cui conosce a menadito pregi e difetti, riflessi condizionati e caratteristiche. Quel documento firmato insieme ad un altro economista, Marcello Messori, e presentato il 15 novembre scorso – cinque giorni fa e non un anno fa -, mette soprattutto in rilievo le preoccupazioni che emergono negli uffici e nei vertici della Commissione: ossia che l’Italia sia in ritardo sulla definizione del Recovery Plan e per questo deve «accelerare» per formulare un risultato «credibile».
Un allarme che trova fondamento in un‘altra considerazione presente in quel rapporto: «Non è una esagerazione sottolineare che il successo o il fallimento del programma europeo e del Recovery Fund in particolare dipenderanno in larga misura dalla credibilità del Pnrr (il Piano nazionale di Ripresa e resilienza) italiano ». Sostanzialmente le responsabilità ricadono sul governo di Roma e per questo le attenzioni nei suoi confronti non possono che essere costanti e ansiose.
Anche perchè per il momento, come in questo documento, tutti confermano il ritardo con cui si sta muovendo l’esecutivo italiano. Non è un ritardo definitivamente incolmabile o da sanzionare formalmente già in questa fase. Ma c’è. E da quelle parti nessuno si sente rassicurato.
Al di là delle reazioni di chi ieri ha parlato di fake news come ha fatto il premier Giuseppe Conte, già sette Paesi che hanno diritto ai finanziamenti hanno trasmesso alla Commissione i piani preliminari. L’Italia – osservano a Bruxelles – rispetto agli altri grandi paesi – Francia, Spagna e Portogallo – è più indietro. Pur avendo ricevuto l’invito a presentare il pacchetto «sin dalla metà di ottobre ». Vuol dire che i ministri italiani non stanno collaborando con gli uffici comunitari? Evidentemente no, ma che lo fanno con una lentezza che rende irrequieti i referenti, sì. La flemma con cui è stata depositata la Legge di Bilancio (il 19 novembre rappresenta il ritardo record nella storia dei governi repubblicani) e con cui vengono prese le decisioni nella squadra di Conte è plasticamente presente negli uffici comunitari.
L’agitazione non ha origine esclusivamente negli aspetti procedurali. Il nostro Paese è cruciale per il lancio di nuove iniziative come gli eurobond permanenti: se l’Italia ha successo possiamo dimostrare ai cosidetti nordici “frugali” che serve, se fa flop sarà impossibile convincerli. Senza contare la paura che i 209 miliardi si disperdano in una serie di piccoli rivoli sulla base delle richieste dei singoli ministeri.
Per questo, negli uffici della Commissione ribadiscono l’importanza che l’Italia mandi la bozza finale quanto prima in modo da iniziare il lavoro approfondito e magari modificarla per la notifica formale. Che magari può anche slittare, visti i veti di Polonia e Ungheria. Ma un lavoro del genere richiede tempo e ancor di più per l’Italia che avrebbe bisogno di compiere il primo passo entro l’anno. Basta ascoltare quel che dice un diplomatico europeo per capire lo stato d’animo che si vive quando si esce da Roma: «L’Italia è il principale beneficiario del piano e per rassicurare i frugali e i Paesi che l’hanno sostenuta nei negoziati della scorsa primavera avrebbe dovuto essere il primo a presentare il piano: diversi partner sono preoccupati». Senza contare che, sempre nel “paper” di Buti si sottolinea che gli orientamenti di politica economica del governo italiano – a cominciare dall’ultima Nadef approvata poche settimane fa – richiedono un «riesame » perchè non tengono conto della seconda ondata pandemica.
Ritornando al Recovery Fund, Roma è ferma alle linee-guida depositate il 9 settembre scorso: un documento costruito solo sui principi, non operativo. Nel “paper” si rimarca allora la necessità di prevedere una “governance”, una “cabina di regia” che gestisca il piano. E qui c’è il secondo elemento di preoccupazione: «L’esigenza di tenere sotto controllo le possibili tensioni centrifughe nella predisposizione del Pnrr aggiunge ulteriori e rilevanti ragioni per auspicare la creazione di una cabina politica di regia». Per tutto questo sarebbe meglio «accelerare».