08.05.2013

Diritto all’oblio pure sull’email

  • Italia Oggi

Le email hackerate vanno cancellate. La corrispondenza elettronica carpita illegittimamente non può essere utilizzata da nessuno e va distrutta dagli archivi di chiunque le conservi.

È quanto ha deciso dal garante della privacy per le mail dei deputati del Movimento 5 Stelle, originariamente diffuse in rete.

L’ordine di cancellazione colpisce qualunque utilizzatore della corrispondenza: anche testate giornalistiche e siti web (questo, però, pone un problema di rapporto con il diritto di cronaca). Anzi, chiunque abbia scaricato le email, dovrà provvedere a cancellarle. Si tratta probabilmente della prima volta in cui il garante ordina la cancellazione a catena delle informazioni assunte, disponendo l’azzeramento anche di qualunque data base.

Il principio potrebbe essere generalizzato a qualsiasi forma di corrispondenza attinta in violazione di legge: cosicché l’intervento del garante si pone in concorrenza con quello della magistratura e, anzi, può essere ancora più veloce e incisivo. Lo stesso principio può valere per le email aziendali e più in generale per tutta la corrispondenza e anche per tutte le informazioni diffuse senza controllo.

Chi si rende conto di avere subito una sottrazione della corrispondenza può fare ricorso al garante, il cui provvedimento di cancellazione vale per tutti. Il problema potrà essere rappresentato dalla applicazione in concreto dell’ordine del garante. Ma è chiaro che una volta pubblicato in gazzetta ufficiale, il provvedimento si presume conosciuto da tutti. E se uno viene beccato con una email illecita sul proprio computer andrà incontro alle sanzioni previste dalla legge.

Nel caso specifico anche il garante ha agito con (rapida) gradualità. Prima un avviso lanciato immediatamente in seguito all’hackeraggio delle mail, teso a fare rispettare la privacy dei parlamentari coinvolti; ora il garante ha adottato il provvedimento n. 229 del 6 maggio 2013 che si appella a diverse norme.

L’illegittimità deriva dalla violazione della costituzione, che tutela la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni di ogni cittadino, aggravata dal fatto che a essere stata violata è la corrispondenza di parlamentari, tutelati da specifiche disposizioni costituzionali (articolo 68).

Inoltre gli hacker hanno commesso un reato, previsto e punito dall’articolo 616 del codice penale e cioè violazione di corrispondenza e hanno anche violato l’articolo 93 della legge n. 633/1941 (diritto d’autore), per cui, qualora la corrispondenza abbia carattere confidenziale o si riferisca alla intimità della vita privata, è necessario il consenso dell’autore e del destinatario della corrispondenza stessa affinché questa possa essere «pubblicata, riprodotta o in qualunque modo portata alla conoscenza del pubblico».

Violato anche il codice della privacy (dlgs 196/2003): le informazioni contenute nella corrispondenza sono state diffuse all’insaputa e contro la volontà degli interessati, violando il principio generale in base al quale i dati personali dei cittadini devono essere trattati in modo lecito, secondo correttezza e raccolti e utilizzati per scopi legittimi.

Persone offese dai trattamenti illeciti sono sia i mittenti sia i destinatari della corrispondenza elettronica e anche eventuali terzi citati nelle comunicazioni.

Il vizio originario travolge in un effetto a catena anche tutti i trattamenti successivi al primo. L’illiceità della iniziale acquisizione delle comunicazioni e della successiva messa a disposizione delle stesse sul web, secondo il garante, estende i suoi effetti anche ai successivi trattamenti di dati, rendendo illecita ogni altra successiva operazione di raccolta, conservazione e ulteriore utilizzo degli stessi dati.

Il mancato rispetto delle prescrizioni del garante espone a sanzioni amministrative (da 30 mila euro a 180 mila euro) e penali, con reclusione da tre mesi a due anni (articoli 162, comma 2-ter e 170 del Codice della privacy).

Resta, però, da definire in che rapporto si ponga il diritto di cronaca e, quindi, se sia recessivo rispetto alla privacy, come sembra dal provvedimento in esame.