21.02.2014

«Deroghe sul deficit solo dopo le riforme»

  • Il Sole 24 Ore

Il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, ha ribadito ieri la possibilità per i Paesi di godere di maggiore flessibilità sul fronte delle finanze pubbliche in cambio di nuove riforme economiche. La presa di posizione, che non piace a tutti i Paesi della zona euro, giunge mentre in Italia il premier in pectore Matteo Renzi, alle prese con la formazione di un nuovo governo, ha espresso una certa allergia per i vincoli di bilancio europei, in particolare il limite di deficit.
Vi è la possibilità – ha detto Dijsselbloem parlando a margine di una audizione parlamentare qui a Bruxelles – di concedere deroghe sugli obiettivi di deficit a quei Paesi che avranno «fatto prima le riforme che hanno un impatto sulla diminuzione del debito». Il presidente dell’Eurogruppo ha poi aggiunto: «Se un Paese ha bisogno di più tempo per raggiungere gli obiettivi di bilancio deve prima dimostrare di fare le necessarie riforme economiche».
Finora, secondo Dijsselbloem, lo scambio di politica economica non è mai stato esplicito. Precisando il suo pensiero, l’uomo politico ha spiegato: «Ho proposto che in futuro, se la Commissione è pronta a dare più tempo a un Paese (per raggiungere gli obiettivi di bilancio, ndr), bisogna dire esplicitamente che questo Paese deve fare delle riforme. Anzi, in realtà, le riforme devono essere adottate prima che la decisione di dare maggiore tempo (all’aggiustamento dei conti pubblici, ndr) venga presa».
La cadenza temporale – prima le riforme, poi la flessibilità – è la vera novità delle parole di Dijsselbloem rispetto a quello che egli aveva detto martedì scorso. Il presidente dell’Eurogruppo è sembrato riferirsi ai Paesi con un deficit sopra al 3% del prodotto interno lordo. L’Italia non è tra questi. Tuttavia, potrebbe cadere nella fattispecie descritta da Dijsselbloem per quanto riguarda il percorso di riduzione del debito o anche del disavanzo (che nel medio termine deve puntare al pareggio).
L’establishment europeo non capirebbe l’eventuale desiderio dell’Italia di riportare il deficit sopra al 3% del Pil. Da un lato perché non avrebbe senso dopo gli sforzi per ridurre il disavanzo; e dall’altro perché significherebbe per il Paese ritornare in procedura di deficit eccessivo, che prevede comunque un gravoso aggiustamento dei conti pubblici. Non c’è in questo momento alcun desiderio in Europa di rivedere queste regole, la cui violazione in passato ha contribuito alla crisi debitoria.
Ciò detto, la presa di posizione di Dijsselbloem va presa con cautela. Lo scambio deficit-riforme non piace alla Germania che teme delusioni, ha paura che il do ut des sia una violazione dei Trattati, e preferisce accordi contrattuali, ossia riforme in cambio di aiuti economici. «L’opinione di Dijsselbloem ha una ottica molto olandese – spiegava ieri un alto responsabile europeo -. L’Olanda non vuole sentire parlare di solidarietà in cambio di riforme. Ecco perché propone questa soluzione alternativa».
La Commissione europea presenterà martedì nuove stime di crescita e di deficit. La speranza è che la stima di crescita per il 2014 venga rivista al rialzo, dallo 0,7% stimato in novembre. L’assenza di misure nuove per ridurre il debito pubblico dovrebbe indurre (per ora) Bruxelles a non concedere all’Italia di detrarre gli investimenti pubblici dal calcolo del disavanzo nel 2014. Forse cambiamenti ci potranno essere in futuro, ma una volta toccate con mano le intenzioni del nuovo governo Renzi.
Dietro alle prese di posizione di Dijsselbloem si nasconde un evidente stato d’animo. L’establishment europeo aspetta il nuovo premier italiano al varco. È consapevole delle difficoltà italiane ed è pronto a venire incontro al Paese, soprattutto sul fronte della riduzione del debito – che dal 2016 dovrà essere di un ventesimo all’anno -, ma non vuole firmare assegni in bianco. Si nutre sfiducia nell’Italia anche per la sua cronica instabilità politica, oltre per l’incertezza sulla politica economica del futuro premier.