In caso di distacco all’estero di personale l’impresa può essere comunque considerata responsabile per il reato del dipendente. Approda a questa conclusione Assonime, interpretando il decreto 231 del 2002 nel contesto, non raro, del distacco di dipendenti al di fuori dell’Italia.
C’è però da tenere presente una distinzione, rispetto alla disciplina applicabile, perché a monte deve essere accertato se il dipendente distaccato ha commesso il reato integralmente all’estero oppure se una parte della condotta si è svolta in Italia.
Nel primo caso la società può essere considerata responsabile solo a determinate condizioni delineate dall’articolo 4 del decreto. Devono innanzitutto esistere i presupposti che permettono di attivare la giurisdizione italiana anche nei confronti della persona fisica; la società deve avere in Italia la sua sede principale (cioè il reale ed effettivo centro direttivo e organizzativo degli affari della persona giuridica, senza riferimento alla sola sede legale); deve essere formulata la richiesta del ministro della Giustizia, se indispensabile per procedere nei confronti della persona fisica. Inoltre nei confronti della società non deve procedere lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.
Quando, invece, un solo segmento della condotta si è realizzato in Italia, allora tutto il reato è assoggettato a legislazione e giurisdizione nazionale, senza più dovere fare riferimento ai filtri sostanziali e processuali sui delitti integralmente commessi all’estero.
Assonime ricorda come la magistratura ha applicato in modo molto estensivo la regola, anche in procedimenti riguardanti le persone giuridiche, al punto di ritenere il reato commesso in Italia, anche quando nel nostro Paese è stato ideato il delitto o sono state poste in essere azioni satellite/ancillari rispetto al reato interamente eseguito nella sua materialità in territorio straniero.
Una società con sede legale in Italia potrebbe allora essere ritenuta responsabile per il reato commesso integralmente all’estero dal dipendente distaccato se, oltre ai requisiti dell’interesse o vantaggio della stessa società, ricorrono tutte le rigide condizioni sostanziali e processuali previste dall’articolo 4. Tuttavia, per la forza espansiva riconosciuta dalla giurisprudenza al decreto 231 «non è da escludere che lo stesso reato possa ritenersi commesso almeno in parte in Italia, radicando così la giurisdizione del giudice italiano pur in assenza delle condizioni dell’articolo 4 e consentendo di procedere nei confronti della società distaccante».
Eventualità che potrebbe essere accentuata quando i dipendenti distaccati presso le società operanti all’estero ricoprono ruoli di vertice nella distaccante. Tale circostanza, infatti, avverte Assonime, potrebbe verosimilmente dar luogo all’integrazione di un seppur minimo frammento della condotta in Italia.
Sul versante delle contromisure Assonime interviene per raccomandare una serie di passaggi: l’adozione di un codice etico valido senza vincoli territoriali, con preferibile identificazione dei rischi specifici di ciascun processo effettuata piuttosto a livello locale dalle società controllate distaccatarie; l’inserimento nel modello organizzativo di procedure per il lavoratore distaccato all’estero con un’attenzione particolare dedicata ai flussi informativi e alla formazione.