19.04.2021

Se il debito non è più un problema

  • Italia Oggi

Nel 2008 il debito pubblico italiano era pari a 1.700 miliardi, il 106% del pil, e per effetto della crisi dei subprime cominciava a crescere in modo preoccupante, tanto che l’allora presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, Claudio Siciliotti, scrisse un libro, dare e avere, per tentare di delineare una strategia percorribile di rientro (ed evitare il rischio di default). Oggi siamo arrivati a 2.640 miliardi, pari al 160%. La crescita ha subito una brusca accelerazione a causa della pandemia (nel 2019 eravamo «solo» al 134%) ma la cosa più stupefacente è che il peso del debito pubblico sembra non preoccupare più nessuno. L’emergenza Covid e la necessità di fornire aiuti ai cittadini e alle imprese hanno reso obsoleti i vincoli di stabilità e fatto esplodere la spesa pubblica e di conseguenza anche il debito. I guardiani della sostenibilità del debito sono ammutoliti.

Anche il presidente del consiglio, Mario Draghi, è un convinto assertore della necessità di sostenere il sistema economico con una massiccia iniezione di fondi pubblici. Già un anno fa aveva scritto che «la perdita di reddito subita dal settore privato – e qualsiasi debito cresciuto per colmare questo divario – deve alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, nei bilanci del governo. Livelli di debito pubblico molto più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato». Un passo in questa direzione è lo scostamento di bilancio da 40 miliardi approvato dal parlamento pochi giorni fa.

Anche l’Ocse ha recentemente chiesto misure fiscali orientate allo stimolo anche di natura temporanea per incoraggiare imprese e famiglie a spese e investimenti. In pochi mesi gli effetti della pandemia sembrano aver provocato un cambio di rotta radicale nelle scelte di politica economica di tutto l’Occidente. Ma questo avrà un impatto pesantissimo sui livelli di debito pubblico della maggior parte degli stati. Se l’indebitamento era considerato un problema serio quando superava di poco il 100% del pil, cosa succederà quando si troverà vicino al 200%? Non basteranno di sicuro provvedimenti come l’aumento delle imposte sui redditi più alti o l’introduzione di qualche nuova patrimoniale, già decisi in alcuni paesi, che sembrano essere i classici specchietti per le allodole, misure che hanno un impatto più sulla psicologia delle masse che effetti concreti sui conti pubblici.

Allora? Come se ne esce? Con una robusta crescita economica, simile a quella del Dopoguerra? Ma allora la fabbrica del mondo erano gli Usa e l’Europa, oggi è la Cina. E l’andamento demografico, una delle condizioni più importanti per lo sviluppo, è negativo. Non sembrano esserci più le condizioni per tassi di crescita come quelli registrati negli anni 50 e 60. Difficile prevedere il futuro ma, storicamente, di fronte a debiti pubblici e privati insostenibili, le soluzioni sono state quella di una forte inflazione, che riduce il peso del debito a spese dei creditori e costituisce un forte stimolo a spese e investimenti, o della cancellazione o remissione parziale o totale del debito.