28.01.2013

Danno morale all’ex coniuge

  • Il Sole 24 Ore

Se c’è vincolo affettivo, al coniuge separato spetta il risarcimento del danno morale per l’incidente mortale della moglie. La separazione, infatti, non osta di per sé al riconoscimento del diritto, giustificandone solo la riduzione dell’importo. Ad affermarlo è la Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza 1025/2013.
Protagonista della vicenda, l’ex marito di una donna, rimasta vittima di un sinistro stradale. L’uomo, separatosi da poco tempo, propone un’azione risarcitoria nei confronti del conducente e del proprietario dell’autovettura, unica responsabile, a suo dire, dell’impatto. Il processo prosegue in sede penale – concludendosi con condanna, per concorso di colpa, di entrambe le parti – e la causa civile viene riassunta, con costituzione delle relative assicurazioni. Chiusa l’istruttoria, il tribunale riconosce il danno morale cagionato al figlio della vittima – calcolato in due terzi dell’intero biologico in astratto dovuto alla defunta – quantificando, invece, in percentuali minori, quello spettante agli altri familiari.
Non soddisfatti della liquidazione, i danneggiati impugnano la sentenza, parzialmente riformata in appello. In particolare – quanto alla posizione del coniuge – la Corte di secondo grado riduce sensibilmente il risarcimento stimato dai primi giudici, ritenendolo eccessivo in considerazione dello stato di separazione legale. Se certo non si può sostenere, sottolinea la Corte, che la morte di un coniuge separato non rechi «alcun dolore all’altro», (tanto più con un figlio in comune), la quantificazione va ridotta «tenendo conto del dato obiettivo della separazione e, cioè concretamente, del fatto della già cessata convivenza, e della conseguente valutazione secondo cui la perdita del coniuge risulta indubbiamente meno sconvolgente rispetto al conseguito assetto di vita».
In realtà – precisa l’uomo, proponendo ricorso – non sarebbe legittimo ridurre il danno morale, solo per via della separazione. L’affievolito affetto coniugale dovuto alla crisi matrimoniale, spiega, non avrebbe inciso sulla sofferenza per la perdita della consorte, trattandosi di una separazione concretizzatasi da meno di un mese.
Non concorda la Cassazione, che conferma la riduzione del risarcimento decisa in appello. Il ristoro del danno non patrimoniale – spiegano i giudici – può accordarsi anche al coniuge separato dalla vittima, se si accerta che l’evento illecito abbia provocato nel superstite «quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona più o meno cara». La separazione, infatti – si legge in sentenza – non va considerata, di per sé, come un «ostacolo al riconoscimento del risarcimento» del danno morale. Del resto, l’articolo 2059 del Codice civile – nel riconoscere la risarcibilità del danno morale da reato – non delinea una categoria specifica degli aventi diritto, cui va ricondotto, senza alcun dubbio, il vedovo della vittima, sofferente per la lesione del vincolo matrimoniale. Diversamente, nel caso di coniuge separato, sarà il giudice a dover decidere, di volta in volta, se questi abbia o meno patito quell’angoscia morale, che solitamente si accompagna alla perdita di un caro. In altre parole – chiarisce la Corte – occorre dimostrare che, nonostante la separazione, «sussista ancora un vincolo affettivo particolarmente intenso, con la conseguenza che l’evento morte ha determinato un pregiudizio in capo al superstite». Vincolo che, nella vicenda concreta – pur non essendoci più un progetto di vita di coppia – può ritenersi ancora vivo, sia per la presenza di un figlio in comune, sia per il breve lasso di tempo intercorso dalla separazione. La Cassazione, pertanto, legittima a pieno titolo la richiesta risarcitoria del ricorrente, cristallizzando, però, la ridotta liquidazione del danno morale, giustificata dallo stato di separazione personale.