19.03.2015

«Dalla deflazione vi salverete con gli investimenti pubblici»

  • Il Corriere della Sera
«Il Tltro della Bce di settembre (l’operazione di rifinanziamento mirata a lungo termine, ndr ) è un buon indicatore: i soldi c’erano ma mancava la domanda. In Europa non c’è un problema di liquidità ma di domanda di credito». Richard C. Koo, 60 anni, è il capo economista del Nomura Research Institute e il «padre» della teoria della «recessione dei saldi di bilancio», usata per spiegare l’economia giapponese dopo la crisi del 1990 e quella americana ed europea dopo il 2007. Semplificando, in una situazione di crisi, il settore privato fortemente indebitato preferisce tagliare le spese e risparmiare, determinando così il crollo della domanda e degli investimenti. Il suo ultimo libro, «The escape from balance sheet recession and the Qe trap» (Fuga dalla recessione dei saldi di bilancio e la trappola del Qe), traccia un parallelo tra la situazione del Giappone di quindici anni fa e l’Europa di oggi. 
Il quantitative easing di Francoforte è cominciato lunedì 9 marzo. Perché lo considera una trappola?
«Non è una trappola ora, lo è quando esci dal programma. Il Qe non aiuta l’economia reale, aiuta il mercato che ne diventa dipendente. Ogni volta che c’è un annuncio di Qe i mercati salgono solo per il presupposto che funzioni. Come mostro nel mio libro, l’ammontare vero di denaro che dalla Banca centrale passa all’economia reale è minimo».
Mario Draghi ripete che la politica monetaria da sola non basta contro la crisi, gli Stati devono fare le riforme. È la formula giusta?
«No. La recessione da saldi di bilancio è come una polmonite. Le riforme strutturali che Draghi suggerisce equivalgono alla dieta e agli esercizi da seguire quando si è malati, ma quando hai i conti in profondo rosso e si è in bancarotta anche se fai la dieta o gli esercizi resti in bancarotta. Dunque cosa accade? Quando si è in rosso si punta ad aumentare i risparmi e a ridurre il debito. Ma se tutti lo fanno nello stesso momento l’economia collassa, perchè se qualcuno risparmia, qualcun altro deve prestare i soldi. Le riforme strutturali da sole non bastano, è necessario che i governi investano».
Ritiene che le politiche di austerità funzionino?
«L’austerità non è la risposta alla crisi, rende la situazione sempre peggiore. Il Trattato di Maastricht è difettoso perché non permette di gestire la recessione che è in atto. Andrebbe cambiato. In Italia i risparmi privati rappresentano quasi il 7% del Pil, in Irlanda l’11,9%, in Portogallo il 6,9%, in Spagna il 6,3%: tutti questi Paesi hanno uno spazio fiscale perché i risparmi sono maggiori dei rispettivi deficit nazionali, ma non ce l’hanno perché sono nell’eurozona. Il Trattato dice che puoi spendere solo il 3% del Pil. Ma se l’Italia fosse fuori dell’eurozona il suo deficit potrebbe essere almeno del 7% per eguagliare il surplus del settore privato. E per evitare che i risparmiatori fuggano verso titoli di altri Paesi, come la Germania o gli Usa, bisognerebbe introdurre dei tassi di rischio su quei bond».
Come considera il piano di investimenti di Juncker?
«Meglio di niente. Ma il punto di partenza di ogni dibattito in Europa deve essere il confronto tra risparmi del settore privato e deficit pubblico».