30.01.2015

Dai capannoni al capitale umano La nuova manifattura del Veneto

  • Il Corriere della Sera
Tra i tanti forniti ieri dalla Fondazione Nord Est c’è un dato che fa sobbalzare e riflettere: il saldo dell’emigrazione è tornato negativo. Negli anni della Grande Crisi dal Veneto e dalle regioni limitrofe si parte e il numero incriminato, riferito al 2013, è 7.790. Gli emigrati superano di gran lunga gli immigrati e una quota significativa di essi (il 22%) ha in tasca non solo il passaporto ma anche la laurea. 
Stefano Micelli, direttore scientifico della fondazione cha fa capo alle Confindustrie locali, sostiene che questi dati devono servire a farci riavvolgere il nastro della vicenda nordestina di questi anni, del suo travolgente dinamismo contrastato, e in parte piegato, dalla recessione. E se una volta era il capannone il simbolo della crescita imprenditoriale, per Micelli questa volta bisogna mettere al centro proprio il capitale umano. Cominciando a fornire percorsi professionali convincenti ai laureati e caso mai attraendone da altri Paesi.
«Fortunatamente il confronto fra le rilevazioni relative agli studenti delle scuole superiori del Nord-Est e le regioni più dinamiche dell’Europa mette in evidenza una diffusione di competenze linguistiche e matematiche superiori alla media. E anche nel caso della formazione tecnica i risultati sono gli stessi». C’è dunque materia prima sulla quale lavorare per fare del Nord-Est addirittura «l’epicentro di un nuovo modo di pensare le grandi trasformazioni produttive che stanno segnando le economie avanzate». Lo sviluppo del capitale umano, in questa visione, serve a promuovere un nuovo modello di impresa manifatturiera in cui lavoro e tecnologia sono l’abbinata vincente. L’espressione chiave, per Micelli, è infatti d igital manufacturing , «anziché produrre e poi cercare di vendere, si produce su misura per soddisfare la richiesta, quanto più personalizzata, di chi acquista».
Chiamato a descrivere la trasformazione silenziosa iniziata in questi anni Micelli racconta: «Colpisce come le imprese stiano imparando a convivere con queste strategie e questi nuovi vincoli di mercato attrezzandosi con modelli organizzativi sempre più agili. Hanno appreso come gestire la varietà senza costruire organizzazioni burocratiche che potrebbero appesantire i processi decisionali e rendere troppo oneroso il costo dei singoli prodotti. Hanno mutuato la lezione giapponese dell’organizzazione snella, non tanto per fare prodotti seriali di sempre maggiore qualità ma per affrontare la varietà della produzione senza sprechi e appesantimenti».
La ricetta della Fondazione finisce dunque per mettere in rilievo un modello nel quale la discontinuità culturale e tecnologica convive con l’ancoraggio al territorio e ai suoi valori, componente irrinunciabile del capitalismo alla veneta. E’ la terza rivoluzione industriale preconizzata dall’ Economist , letta e rivisitata in chiave nordestina. «Un territorio però – aggiunge Micelli – vocato all’internazionalizzazione. Lo dicono i numeri: il rapporto tra export e Pil nel Nord-Est raggiunge il 37% con un aumento di sette punti tra il 2009 e il 2012 e con, di nuovo, sette punti di vantaggio sulla media nazionale». I discorsi e le slide della Fondazione Nord Est, presentati ieri a Cornuda nella splendida sede del gruppo grafico Antiga, cadono in un momento in cui gli industriali veneti appaiono particolarmente fiduciosi.
A sentire il loro leader, Roberto Zuccato, il ciclo degli investimenti è già ripartito «come dimostrano i dati diffusi dall’Ucimu sul consumo di macchine utensili», c’è speranza che anche il patto di Stabilità interno sia allentato e comunque appena i decreti attuativi del Jobs act entreranno in vigore «ci sarà una fiammata di assunzioni». Dal Nord-Est, quindi, arrivano umori positivi assieme alla riconosciuta esigenza di cambiare passo e, come già detto, di mettere al centro quel capitale umano che altrimenti emigra.
Restano a questo punto in secondo piano i discorsi che pure altrove si fanno sulla politica industriale, sulla necessità di aumentare la taglia delle imprese con aggregazioni/fusioni e, infine, sull’esigenza di aprire il capitale per attrarre risparmio e investitori. Ma siamo solo all’inizio.