Juncker aveva anticipato che il suo piano non contiene «soldi freschi» e ha sollecitato l’intervento dei Paesi in condizione di spendere, a partire dalla Germania. Ma la cancelliera tedesca Angela Merkel e altri leader del Nord Europa restano prudenti. Il premier finlandese Alexander Stubb ha consigliato «basse aspettative». Al momento il fondo di Juncker prevede solo 21 miliardi (8 + 8 di garanzie Ue più 5 miliardi di prestiti della banca comunitaria Bei), che dovrebbero diventare 315 miliardi con investimenti privati in base a una leva finanziaria di ben 15 volte (da ripartire tra 28 Paesi). Renzi ha definito questo progetto «un grande successo della famiglia socialista», che ha fatto pressioni sugli europopolari di Merkel e Juncker. Ha ammesso poi che «il piano va rafforzato». Il presidente della Bce Mario Draghi ha esortato a procedere «velocemente» con gli investimenti. Vari Paesi mediterranei ne hanno assoluto bisogno. L’Italia sconta recessione, disoccupazione, debito record, arretramento dei consumi.
Il semestre di presidenza italiana dell’Ue, che di fatto termina con questo summit, non ha ottenuto più «flessibilità» sui vincoli di bilancio. Ma Renzi si aspetta «una comunicazione della Commissione» già in gennaio. Un summit straordinario dei capi di governo è previsto a febbraio. Merkel non ha consentito troppe aspettative.
«Il patto di Stabilità va rispettato pienamente — ha chiarito la Cancelliera —. La politica economica europea deve fondarsi su un consolidamento di bilancio favorevole alla crescita, smantellamento della burocrazia eccessiva e piano di investimenti». Juncker ha espresso «piena fiducia» in Renzi sostenendo che «non ci deluderà». Inoltre il presidente della Commissione appare obbligato a compiacere gli eurosocialisti, che sono decisivi per respingere le richieste di dimissioni causate dal suo coinvolgimento nello scandalo LuxLeaks.
Il premier lussemburghese Xavier Bettel ha dato una mano al connazionale annunciando che fornirà alla Commissione europea i documenti (finora negati) sui favoritismi fiscali concessi a multinazionali, banche e società straniere quando Juncker era capo del governo del Granducato.