11.10.2017

Così scordiamo le password

  • Il Corriere della Sera

Provate a contarle: quante password usate? Probabilmente decine, tra siti per l’ ecommerce e l’ ebanking , email e social media. Non c’è da stupirsi se ci sentiamo tutti travolti dal «password overload» (il sovraccarico mnemonico dell’era digitale), anziché da un insolito destino come in quel film della Wertmüller. Ma come nascono, vivono, muoiono le tracce cerebrali di questi codici di accesso? E perché all’improvviso la memoria fa cilecca?

Tutto comincia nell’emisfero sinistro, sopra l’orecchio, come ci ha spiegato Costanza Papagno, la psicobiologa dell’Università Milano-Bicocca a cui abbiamo chiesto di ricostruire il viaggio di una password nel cervello umano. È in questa regione temporo-parietale che si trova la memoria a breve termine, con tracce che durano meno di un minuto. Il suono della password viene trattenuto in un magazzino fonologico la cui capacità dipende in parte dalla lingua. «Un inglese riesce a memorizzare il suono di 7 numeri, perché sono monosillabi, per gli italiani la media è 5 o 6 perché le parole son più lunghe», sostiene Papagno. Quando ripetiamo mentalmente le informazioni per qualche secondo, eseguiamo la fase del ripasso. Ma perché subentri la memoria a lungo termine, nell’ippocampo, deve avvenire un’elaborazione più profonda, di tipo semantico. Il problema è che i requisiti della cyber-security non vanno d’accordo con la psicologia. È più improbabile che un estraneo indovini le nostre password quando sono composte in modo arbitrario, ma per noi ricordarle è più difficile. L’evoluzione ha forgiato il sistema per farci memorizzare informazioni significative, non stringhe alfanumeriche. Quando le sequenze rimandano a informazioni calde, come un compleanno o un nome familiare, è abbastanza semplice. Altrimenti possiamo aiutarci dividendo in pezzi il pin o visualizzando il percorso delle dita sulla tastiera. Quasi tutti tendono a riutilizzare la stessa password in più siti, ma se ci vengono imposti dei vincoli come l’uso di qualche maiuscola, azzeccare è comunque difficile.

Le memorie a lungo termine possono durare tutta la vita e non esistono limiti di capacità. Per riemergere, però, devono essere riattivate. È proprio quello che facciamo ogni volta che ci ricordiamo una password: l’input per eseguire la ricerca mnemonica parte dalla regione prefrontale, la sede del decision-making . Mentre scandagliamo l’archivio, riattiviamo memorie simili a quella desiderata causando un fenomeno di interferenza che confonde i ricordi. Secondo una teoria in voga, ogni volta che riattiviamo una traccia ne creiamo una nuova, perciò una password usata spesso può contare su più tracce di una password meno utilizzata. Ma in alcuni momenti, per stress, distrazione o stanchezza, anche i codici di identificazione consolidati possono soccombere alla competizione diventando inaccessibili. Sarà capitato anche a voi alle casse del supermercato o davanti al bancomat. Tirate fuori la carta, vi accingete a digitare ma nella testa c’è il vuoto. E intanto si allunga la coda dei clienti in attesa. L’informazione è ancora lì, ma non funziona l’apriti sesamo: meglio riprovare a mente fresca l’indomani.

Gli esperti comunque invitano a non preoccuparsi. Oggi fatichiamo a ricordarci le password come in passato faticavamo a memorizzare i numeri di telefono, che ormai sono affidati a quelle protesi mnemoniche che chiamiamo smartphone, ci rassicura il neurologo Stefano Cappa dello Iuss (Istituto universitario di studi superiori) di Pavia. Inoltre dimenticare alcune informazioni è fisiologico: una certa dose di oblio è necessaria al normale funzionamento della memoria, e persino al benessere psicofisico.

Anna Meldolesi