La riduzione del carico fiscale su imprese e lavoro è stato fin dall’inizio il tassello centrale per comporre la manovra 2014. Ma dalle intenzioni dell’esecutivo (rilanciate più volte dallo stesso premier Letta), alla stesura iniziale del ddl, alle sue correzioni nel corso dell’esame parlamentare, agli appelli unitari delle parti sociali, i buoni propositi sono stati disattesi. Agli annunci forti sono poi seguite norme deboli. E in più nel caso dell’istituendo fondo taglia tasse, piano piano svuotate (con platee allargate e poche risorse a disposizione).
È stato il 15 ottobre quando il consiglio dei ministri ha varato il ddl stabilità con la sua proposta sul cuneo: un mix di sgravi Irpef e Irap da 10,6 miliardi per i prossimi tre anni (di cui 5,6 miliardi per ridurre le tasse sulle imprese e 5 miliardi per rimpinguare le buste paga dei lavoratori). Ma già dai primi calcoli sugli effetti pratici dell’intervento è subito emersa l’entità esigua dei benefici. Per i lavoratori, esclusi i pensionati, si è conteggiato un aumento medio annuo di circa 150 euro, ampliando il beneficio fino a 55mila euro di reddito. In pratica, una manciata di soldi per tutti. Insoddisfatte anche le imprese, che possono contare pure sulla riduzione di premi e contributi Inail (nel limite di un miliardo nel 2014, 1,1 miliardi nel 2015 e 1,2 miliardi nel 2016). Cifre comunque distanti rispetto alla reale entità (e drammaticità) del problema. Con numeri che parlano chiaro. Il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato negli ultimi anni del 9% contro una media Ue del 2%, e il cuneo fiscale è arrivato in Italia al 53,5% (siamo al secondo posto al mondo in termini negativi, peggio di noi fa solo il Belgio).
Per questo fin dalla presentazione del ddl stabilità in Senato è partito subito il pressing sul governo per rendere più incisivo l’intervento sul cuneo, riconosciuto da tutti (a parole) una priorità. Sono stati presentati una serie di emendamenti ed evidenziato come per produrre risultati significativi bisognava mettere sul piatto almeno 20 miliardi.
E invece è successo questo. Il braccio di ferro parlamentare è andato avanti per giorni, fino a una prima condivisione, a metà novembre, di un emendamento, firmato da Rita Ghedini, che ha riscritto il taglio del cuneo per i lavoratori rimodulando la curva dell’Irpef e riducendo la platea (da 55mila euro a 35mila euro) con l’obiettivo di mettere più soldi in busta paga ai dipendenti con redditi bassi. Per le imprese invece più nulla.
Sul «Sole24Ore» del 24 novembre tutte le parti sociali hanno chiesto al governo più coraggio, e lanciato un appello unitario a rafforzare l’intervento sul cuneo, inserendo una norma in grado di far pervenire in modo automatico i ricavi da spending review e della lotta all’evasione. Una norma chiara, quindi, per far ripartire la crescita, che è stata subito accolta con favore dal governo. Nei giorni successivi all’appello unitario delle parti sociali la proposta ha ricevuto l’ok dal premier, Enrico Letta, e di alcuni ministri (tra cui Maurizio Lupi che ha parlato di iniziativa «intelligente»). Il 27 novembre il ddl stabiltà ha ricevuto il primo ok al Senato, confermando, per i lavoratori, il taglio al cuneo fiscale più pesante nella fascia di reddito tra i 15mila e i 18mila euro; e per le imprese i tagli ai premi Inail (del 14% il primo anno) e la defiscalizzazione Irap sulle nuove assunzioni.
Alla Camera è stato approvato l’emendamento Marco Causi sulla linearizzazione della nuova curva Irpef introdotta al Senato per il taglio del cuneo sui lavoratori dipendenti. Ma l’attesa era tutta per l’attuazione dell’appello unitario delle parti sociali. Il 4 dicembre è stata approvata in commissione Bilancio la risoluzione, fortemente voluta dal presidente Francesco Boccia, con i criteri di riferimento per la stesura dell’emendamento sul Fondo taglia tasse (anticipo al 2014 della spending review e automatismo nell’attribuzione delle risorse). Ma il primo emendamento del governo sul Fondo ha disatteso tutte le attese. Ha previsto sì la nascita del Fondo alimentato dai due rubinetti, spending review e lotta all’evasione. Ma ha ampliato la platea. I benefici (in ugual misura) dovranno andare a imprese (a cui sono stati aggiunti però lavoratori autonomi e piccole aziende con meno di 181mila euro di valore della produzione). E l’altra parte a lavoratori e pensionati. Inoltre, non ha previsto nessun automatismo, segnando una priorità nell’assegnazione delle risorse alle spese inderogabili. Parti sociali in protesta. Ma pure l’emendamento riformulato ha confermato lo svuotamento del Fondo. Oltre alle spese inderogabili è stata aggiunta un’altra priorità: il rigore di bilancio. E peggiorato il testo, visto che gli eventuali fondi derivanti da misure straordinarie di lotta all’evasione (come il rientro dei capitali) potranno andare sì a lavoratori e imprese dal 2014. Ma con più discrezionalità: servirà infatti l’emanazione di un apposito Dpcm.