Questa volta sono stati i bancari a pesare e non il petrolio: ieri il barile è volato, guadagnando ben l’8%, e ha perso la correlazione con le Borse che da inizio anno era stata netta, ma che inizia ad apparire piuttosto forzata considerato che molte aziende europee con un petrolio e un euro debole potrebbero trarre obiettivamente slancio. L’indice europeo del settore bancario ha perso il 3,3% (dopo il -5% della vigilia) con ribassi diffusi. Deutsche Bank ha ceduto il 6%, a Madrid Santander e Bankia oltre il 4%, alla City maglia nera è stata Barclays con un tonfo del 5%.
Tra gli operatori si sta diffondendo una crescente apprensione sulla normativa del “bail-in” entrata in vigore a gennaio, che sposta l’asse dei salvataggi bancari dagli Stati a chi ha a che fare con la banca (nell’ordine prima azionisti, poi obbligazionisti e in terza istanza e solo per le somme superiori a 100mila euro i correntisti). A questo quadro si aggiungono, per le banche italiane (che pesano per il 22% nel calcolo del Ftse Mib) anche le incertezze sull’accordo raggiunto tra Unione europea e Tesoro in merito al meccanismo delle bad bank per gestire il bubbone dei crediti deteriorati. Mancano ancora elementi per effettuare con precisione i calcoli sulle svalutazioni potenziali. Nel dubbio gli investitori vendono. Ieri la maglia nera l’ha indossata Banco Popolare (-10%), preceduto di poco da Ubi (-9%), Bper (-8,29%), Mps (-6,67%), Unicredit (-5,93%), Bpm (-5,71%) e Intesa (-5,25%).
E non finisce qui: l’unica certezza su cui si reggevano gli investitori in questo tribolato avvio d’anno era che la Federal Reserve degli Usa avrebbe alzato i tassi per almeno quattro volte nel corso dell’anno, proseguendo nel percorso di normalizzazione della politica monetaria avviato con il mini-rialzo dello scorso dicembre. Bene, questa certezza è ormai saltata. Ieri uno degli esponenti del direttorio della Fed, William Dudley ha avvertito che le recenti tensioni dei mercati, combinate con gli apprezzamenti del dollaro, potrebbero pesare sulla dinamica di crescita Usa. Un messaggio interpretato dagli operatori come uno stop chiaro alle intenzioni della Fed di tornare alla normalità. Anche perché dagli Usa sono arrivati nuovi segnali di rallentamento: l’Ism servizi è calato a dicembre per il terzo mese di fila portandosi sui minimi del febbraio 2014. E se frenano anche i servizi, qualcosa vorrà pur dire. Le parole di Dudley hanno messo le ali all’euro che è subito balzato a 1,111 dollari, salendo in pochi minuti di oltre una figura. Wall Street, dopo una giornata negativa, alla fine ha guadagnato lo 0,5%.
L’altra grande incertezza che grava sui mercati – e che sta spingendo i grandi investitori a vendere a mani basse – è l’incognita Cina. Gli investitori iniziano a scontare che la People’s Bank of China una delle prossime mattine possa annunciare una nuova svalutazione dello yuan (come già accaduto quattro volte da agosto). «La visibilità all’orizzonte in questo momento è pari a zero e gli investitori sono paralizzati dal sentimento negativo che sta spingendo in basso i mercati – spiega Kim Pessala, chief investment officer at Evli bank -. I mercati stanno scommettendo su una nuova svalutazione dello yuan, come strategia della banca centrale per alleggerire la pressione da deflussi di capitale».