Eppur si muove: dopo mesi e mesi passati alla finestra, il leader laburista Jeremy Corbyn ha accettato di spostare la posizione del suo partito sulla Brexit. E non si tratta di uno smottamento da poco: perché l’opposizione di sinistra al governo di Theresa May, dopo mille tentennamenti, si è finalmente schierata a favore di un secondo referendum sulla Brexit.
Corbyn, che in cuor suo resta un euroscettico, è stato costretto dagli eventi: la scorsa settimana otto deputati hanno dato vita a una mini scissione proprio a causa del dissenso sulla Brexit. E c’era il forte rischio che l’emorragia continuasse, provocando serio imbarazzo alla leadership laburista.
Il gruppo parlamentare del Labour è decisamente filoeuropeo, così come lo è la base dei militanti, che da mesi reclamava di schierare il partito a favore di un nuovo referendum. Ora Corbyn ha ceduto a queste pressioni, ma la scelta rischia di essere ugualmente controversa: tre milioni di elettori laburisti, specialmente nel nord operaio dell’Inghilterra, hanno votato nel 2016 a favore della Brexit. Un ampio bacino di consensi che ora potrebbe sentirsi tradito.
Corbyn infatti, fino a questo momento, aveva mantenuto una posizione ambigua, evitando di mettere apertamente in discussione la Brexit: solo in questo modo riusciva a tenere in piedi la composita colazione elettorale laburista, fatta di liberal metropolitani filoeuropei, concentrati a Londra, e classi lavoratrici euroscettiche delle aree industriali.
Un equilibrismo che alla lunga non poteva reggere. Ora Corbyn ha dovuto schierarsi: ma questo non significa che le chance di un secondo referendum, o di invertire la Brexit, siano particolarmente cresciute. Il Labour presenterà un emendamento per chiedere una Brexit che mantenga la Gran Bretagna nell’unione doganale con la Ue e in parti del mercato unico: poiché sarà certamente bocciato, porterà in aula un altro emendamento che chiede un nuovo referendum «per impedire una dannosa Brexit conservatrice».
Tuttavia anche questa mossa difficilmente approderà da qualche parte: anche perché ci sono dozzine di deputati laburisti, che rappresentano circoscrizioni pro Brexit, che si ribelleranno alla nuova linea del partito. E i conservatori, di gran lunga più numerosi, non hanno nessuna intenzione di avallare un secondo voto: la lora base è nettamente pro- Brexit e per loro sarebbe un suicidio politico.
Cosa succederà a questo punto? Resta improbabile che Theresa May riesca a far approvare il suo accordo sulla Brexit entro la data fatidica del 29 marzo: e allora, per evitare una uscita catastrofica, il no deal, si andrà probabilmente a un rinvio. Ma solo di qualche mese, quel che basta per prepararsi al peggio.
Luigi Ippolito