Allargato il danno da contraffazione del marchio. Per la Cassazione (sentenza 13025 della Prima sezione civile depositata ieri), infatti, il danno causato all’impresa titolare del marchio contraffatto non consiste per forza in una riduzione delle vendite oppure in un calo del fatturato. Si può invece esprimere “solo” in una riduzione del potenziale di vendita e quindi consistere in una minore crescita delle vendite stesse. Senza che se ne verifichi una corrispondente diminuzione rispetto agli anni precedenti considerati. «Ciò accade infatti quando le vendite sono in crescita nel corso del periodo preso in considerazione e, in tali casi, non si manifesta alcun calo o riduzione delle vendite, pur potendosi manifestare un danno da riduzione del potenziale».
La controversia approdata sino al giudizio della Cassazione ha per oggetto il marchio di prodotti sanitari «Luxor», del quale una società, aggiungendo la parola «India», rivendicava la libera commercializzazione. Una tesi che era stata respinta dalla Corte d’appello di Torino che, nel 2007, aveva dichiarato contraffazione il marchio «Luxor India» e ne aveva inibito l’utilizzazione, condannando la contraffattrice al pagamento di una somma di denaro, alla pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani, alle spese del doppio grado di giudizio e a una somma aggiuntiva per ogni confezione di prodotto messa in vendita in violazione della decisione e successivamente alla sua pronuncia.
Tra i motivi di ricorso fatti valere dalla difesa della società sanzionata, trovava posto anche la legittimità dell’uso del criterio equitativo, nella liquidazione del danno in seguito a contraffazione del marchio, in assenza di prove da parte del titolare del marchio sulla contrazione di vendite subita o del calo di fatturato sofferto. Di dubbia legittimità era quindi il ricorso al solo dato delle vendite effettuate dall’impresa contraffattrice. Avere proceduto in questo modo, da parte della Corte d’appello, avrebbe eluso nei fatti il dovere probatorio in capo alla società che lamentava la contraffazione.
Sul punto, però, la Cassazione ha seguito una posizione diversa e ha confermato il verdetto della Corte d’appello, chiarendo che la quantificazione del danno è stata effettuata sulla base dei risultati della perizia relativa al fatturato specifico della società, dedotta una quota di prodotto che, se non fosse stato contraffatto il marchio, sarebbe stato venduto.
Dalla Cassazione, con la medesima sentenza, arriva poi anche un pieno via libera alla competenza della Corte d’appello a pronunciare la sentenza sulla quale era poi scattato il ricorso. A comprometterne la legittimità era, per la difesa, la sentenza della Corte costituzionale 112 del 2008 (che aveva dichiarato l’illegittimità dell’articolo 245 comma 2 del decreto legislativo numero 30 del 2005 nella parte in cui stabilisce che sono affidate alla cognizione delle sezioni specializzate le cause in appello iniziate dopo l’entrata in vigore del Codice della proprietà industriale).
Tuttavia per la Cassazione va ricordato un precedente del 2003, poi consolidatosi negli anni successivi, in cui la stessa Cassazione ricordava che il giudizio di incostituzionalità di «un organo giurisidizionale» non ha come conseguenza l’inefficacia della fase processuale che vi si è svolta e del provvedimento che l’ha conclusa.