15.07.2016

«Completare l’unione bancaria, ammesso il sostegno pubblico»

  • Il Sole 24 Ore

Per Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di vigilanza della Banca centrale europea, «non c’è un problema specifico per l’Italia o un problema Paese», c’è il problema di alcune banche gravate da un alto livello di crediti deteriorati (Npl), al quale i mercati sono sensibili. In un’intervista al Sole 24 Ore, Angeloni sostiene che le regole europee ammettono in modo esplicito il sostegno pubblico alle banche «in circostanze eccezionali e in modo controllato». E insiste sul completamento dell’unione bancaria.

Il banchiere centrale, che il presidente, Mario Draghi, ha voluto prima al coordinamento della preparazione per l’assunzione della vigilanza bancaria nell’eurozona da parte della Bce, poi nel Consiglio di vigilanza, sostiene che la questione degli Npl va avviata a soluzione al più presto possibile, ma che la reazione dei mercati all’annuncio, a inizio anno, di uno studio della Bce su questo tema «sono state esagerate». I risultati saranno pubblicati «presto», dice Angeloni.
Positivo il giudizio sul fondo Atlante, con l’auspicio che le sue risorse vengano integrate da investitori italiani privati non bancari e da investitori internazionali.
Come ha ripetuto più volte Draghi, Angeloni sostiene che è essenziale il completamento dell’unione bancaria, con la creazione di una garanzia comune dei depositi. E che la questione delle regole sul debito pubblico nei portafogli delle banche, legata soprattutto dalla Germania all’assicurazione europea dei depositi, vada affrontata in modo molto graduale e nell’ambito di un accordo internazionale.
Il voto su Brexit ha avuto un impatto fortemente negativo sui titoli bancari, con possibili ripercussioni sulla stabilità finanziaria nell’area euro. Qual è la sua valutazione della situazione?
Non c’è dubbio che il referendum britannico rappresenti uno shock notevole per l’economia europea, di cui stiamo cominciando a vedere l’impatto, ma che si svilupperà ulteriormente nei prossimi mesi. Un elemento importante in questo caso è l’effetto incertezza: non sappiamo come si svilupperanno in futuro le relazioni fra il Regno Unito e l’Europa e ai mercati finanziari non piace l’incertezza. Questo aiuta a comprendere perché i titoli bancari siano stati colpiti più fortemente: una componente molto importante di questa incertezza riguarda il modo in cui il Regno Unito, che ospita il più importante centro finanziario in Europa, si posizionerà in relazione al mercato unico europeo per i servizi bancari e finanziari. Tra l’altro, nelle prime due settimane dopo il voto, l’impatto sulle azioni delle banche dell’area euro appare più forte di quello sulle banche inglesi, ma non sono così diversi se si tiene conto dei movimenti del cambio. In entrambi i casi la caduta dell’indice bancario è più grande di quella dell’indice generale.
Le azioni delle banche italiane sono state colpite più seriamente e molti considerano le banche italiane l’anello debole dell’eurozona. La vigilanza europea ha compiuto diverse valutazioni della loro salute nell’ultimo anno e mezzo. Qual è il loro stato oggi?
Seguiamo da vicino la situazione di tutte le banche sotto la nostra responsabilità di vigilanza. Non c’è un problema specifico per l’Italia o un problema Paese. Alcune banche in Italia sono gravate da un alto livello di crediti deteriorati (Npl). I mercati sono sensibili a questo e ciò emerge nella più alta volatilità delle azioni bancarie italiane. Il problema degli Npl può essere gestito, ma non dev’essere sottovalutato. Oltre agli Npl, ci concentriamo anche su diversi altri aspetti nell’annuale esercizio dello Srep, che una volta concluso determinerà i requisiti prudenziali per l’anno prossimo. Su tutti questi temi, lavoriamo in stretta collaborazione con le autorità italiane, anzitutto con la Banca d’Italia nel suo ruolo di supervisore nazionale e membro dell’Ssm. La collaborazione è molto buona.
Si parla del possibile uso di fondi pubblici in Italia per ricapitalizzare alcune banche. Pensa che sia una soluzione appropriata? Ritiene che l’imminente pubblicazione dei risultati degli stress test sia il momento giusto per annunciarla, seguendo le regole europee?
Non voglio speculare su notizie di stampa. Il Governo italiano ha annunciato che sono in corso contatti con la Commissione europea su misure indirizzate a sostenere alcune banche, che hanno sofferto di recente anche a causa delle turbolenze provocate da Brexit. La Commissione ha la responsabilità di valutare e autorizzare misure che possono essere rilevanti dal punto di vista della concorrenza e degli aiuti di Stato. Come ho dichiarato pubblicamente di recente, penso che forme di sostegno pubblico, usate in circostanze eccezionali e in modo controllato, siano parte di un quadro bancario ben disegnato. La legislazione bancaria della Ue (composta da Crr/Crd, più Brrd e le regole sugli aiuti di Stato emesse dalla Commissione nel 2013) contiene norme esplicite a questo proposito. Si tratta di applicare le regole esistenti.
Le regole sul bail-in andrebbero riviste o sospese?
La condivisione dei rischi da parte di certe classi di creditori è una buona componente del sistema, come lo sono le salvaguardie che abbiamo appena discusso. Produce i giusti incentivi e fa parte delle regole approvate da tutti. Il presupposto è che ci sia un’adeguata informazione sugli strumenti finanziari da parte degli investitori che li acquistano.
Che soluzione si aspetta per il caso di Mps, una delle quattro banche italiane che non hanno passato la vostra “valutazione approfondita” nel 2014? Oggi è capitalizzata oltre le soglie prudenziali ed è tornata in utile, ma viene tuttora considerata sull’orlo del collasso. Cosa si deve fare?
Non voglio commentare la situazione di singole banche. Come ho appena detto, nel contesto del nostro Srep annuale e nel lavoro di vigilanza condotto dai team di supervisione, guardiamo a tutti i fattori di rischio rilevanti. Lo facciamo per tutte le banche, compresa naturalmente Mps. Le nostre analisi e conclusioni sono comunicate alle banche.
I mercati sono in attesa anche dei risultati del vostro studio sugli Npl, che è un tema cruciale per le banche italiane. Il modo in cui fu comunicato il suo avvio creò molta incertezza e turbolenze. Cosa ci si deve aspettare?
Le reazioni provocate da questa iniziativa all’inizio dell’anno sono state esagerate. Il monitoraggio degli Npl, soprattutto quando sono eccessivi, fa parte dei normali compiti di vigilanza. Essi consistono, in questo caso, nel raccogliere le informazioni necessarie e individuare le migliori pratiche e, se necessario, fissare linee guida. Data l’importanza di questo tema per un certo numero delle banche sulle quali vigiliamo, abbiamo creato un gruppo di lavoro dedicato, che comprende staff della Bce e delle autorità nazionali. I principali risultati saranno pubblicati presto. Sappiamo bene che riassorbire gli Npl, specialmente quando il livello è alto, non può esser fatto rapidamente e che c’è un trade-off fra la rapidità del processo e il valore che può essere estratto. Il nostro obiettivo è di aiutare le banche a usare tutti i margini di manovra che hanno per risolvere il problema il più presto possibile.
C’è la percezione in Italia che ci sia un’attenzione eccessiva sugli Npl, e non abbastanza su altri temi, come i derivati, che coinvolgono altri sistemi bancari e hanno un maggior potenziale destabilizzante. Un recente rapporto del Fondo monetario, per esempio, sottolinea che Deutsche Bank «dà il più importante contributo netto ai rischi sistemici».
Non penso che quella percezione sia fondata. La nostra attività di vigilanza è completa e copre tutti gli aspetti dei rischi bancari, compresi i rischi di credito, di mercato, operativi, rischi su capitale e liquidità, e così via. Tutti questi aspetti sono considerati e valutati al meglio delle nostre possibilità, nello Srep e più specificamente negli stress test, come nei contatti regolari fra i team di vigilanza e le banche. Le cito due aspetti rilevanti per il rischio di mercato. Primo, abbiamo lanciato un’ampia revisione dei modelli interni di gestione del rischio. Questi modelli sono usati dalle principali banche per misurare i rischi in varie aree, e calcolare la ponderazione del rischio, inclusi i rischi di mercato e operativi. Diversi approcci nella costruzione di modelli possono dare luogo a diversi requisiti prudenziali e se i modelli non sono appropriati ne può derivare una sottovalutazione dei requisiti. Le banche che assumono larghe esposizioni di mercato sono spesso caratterizzate da ponderazioni medie più basse sulla loro esposizione a questi rischi. Ecco perché è importante vigilare su questi modelli. Questo compito però richiede tempo, dato l’alto numero di banche su cui vigiliamo e i modelli multipli che usano. Vorrei dire anche che parlare di derivati in genere non è corretto: ci sono posizioni in derivati che aiutano a coprire il rischio e altre che lo aumentano. In secondo luogo, stiamo facendo attenzione crescente alla leva finanziaria (leverage) delle istituzioni finanziarie, come complemento delle esposizioni ponderate. Le misure del leverage non sono ponderate per il rischio e quindi non sono soggette alla potenziale distorsione di cui ho parlato. In Europa, il leverage diventerà un requisito formale dopo il 2018, ma le banche devono già pubblicare oggi il proprio leverage. La pubblicazione è importante perché alimenta la disciplina di mercato; le banche sono riluttanti a mantenere un leverage alto se devono pubblicarlo, anche se non vi è ancora un divieto. Da parte nostra, teniamo sotto osservazione il leverage e assicuriamo che le banche lo calcolino correttamente.
In Italia, la creazione del fondo Atlante ha risolto i problemi della ricapitalizzazione di due banche, ma non ha le risorse necessarie per ripulire l’intero sistema. Qual è la sua valutazione del ruolo di Atlante finora e ritiene che debbano essergli date più risorse o debba essere creato un Atlante 2?
Ne ho parlato in dettaglio in una recente audizione al Senato. Atlante è stata una buona iniziativa e ha già contribuito alla stabilità intervenendo nella capitalizzazione delle due banche. Così facendo, ha utilizzato la maggior parte delle sue risorse. Le sue dimensioni attuali non sono sufficienti ad affrontare tutti i casi in cui un intervento sugli Npl o un sostegno al capitale può rendersi necessario. Una ricostituzione delle sue risorse, specialmente da investitori privati che non siano banche italiane, sarebbe un bene. Penso anche che la presenza di investitori internazionali sarebbe un buon segnale.
L’Ssm opera ora una vigilanza unica in un’unione bancaria che è lungi dall’essere completa. Il fondo di risoluzione richiederà anni prima di essere attivo e l’assicurazione comune dei depositi (Edis) è stata rinviata sine die. Questo complica il vostro compito?
Il completamento dell’unione bancaria è un tema molto importante. La Bce crede fermamente che uno schema unico di assicurazione dei depositi sia un pilastro necessario di un’unione bancaria ben funzionante. A nostro avviso, la proposta della Commissione, che prevede la creazione graduale di uno schema in tre fasi da concludersi nel 2024, è solida, perché combina opportunamente la chiarezza dell’obiettivo e il gradualismo. Più in generale, la creazione di una rete di sicurezza bancaria per l’intera area euro con l’uso di risorse messe in comune è il logico complemento di aver portato la responsabilità di vigilanza e la risoluzione allo stesso livello. Questo processo dovrebbe procedere in parallelo con la riduzione dei rischi nel sistema, un processo al quale la vigilanza bancaria della Bce sta contribuendo attivamente. Un credibile sistema di garanzia dei depositi sosterrà la fiducia, contribuirà a stabilizzare il sistema e a renderlo più omogeneo e integrato.
Uno degli ostacoli è il trattamento del debito sovrano nei portafogli delle banche. Ritiene che debba essere risolto prima della creazione dell’Edis, anche se questo richiederà anni?
È in atto un’ampia discussione sui tempi e le priorità nel realizzare la riduzione dei livelli di rischio e la loro mutualizzazione all’interno dell’unione bancaria. In questa discussione è stato anche chiamato in causa il trattamento prudenziale dei debiti sovrani. Nella normativa attuale, l’esposizione sovrana è trattata come priva di rischio; è cioè esente sia dalla ponderazione del rischio sia dai limiti all’esposizione. L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che, di fatto, l’esposizione al debito sovrano non è priva di rischio. La Bce riconosce che ci sono buone ragioni per considerare una modifica del trattamento prudenziale dell’esposizione al debito sovrano. Ogni cambiamento delle regole, però, dovrebbe tenere a mente i rischi finanziari nella transizione e tener conto che gli strumenti di debito sovrano giocano un ruolo centrale nel sistema finanziario e nella politica monetaria. Bisognerà evitare limiti rigidi. Si potranno considerare, invece, approcci flessibili come l’applicazione di una ponderazione crescente per il rischio alle esposizioni concentrate su singoli sovrani, oltre certe soglie. L’obiettivo non è di determinare un calo dell’ammontare totale dei titoli sovrani detenuti dalle banche, ma una maggior diversificazione di portafoglio. In ogni caso, si dovrebbe prevedere un periodo di introduzione sufficientemente lungo in modo da evitare effetti improvvisi ed essere in grado di compiere aggiustamenti sulla base dell’esperienza. Il Comitato di Basilea sulla vigilanza bancaria sta conducendo una riflessione su questo tema, che può portare alla creazione di uno standard internazionale. Ogni cambiamento in Europa dovrebbe, a nostro avviso, avvenire all’interno di quel quadro.

Alessandro Merli