29.02.2012

Compensazione con limiti

  • Il Sole 24 Ore

di Giovanni Negri

Reato di indebita compensazione, ma solo se viene oltrepassata la soglia di punibilità fissata a 50mila euro. Lo stabilisce la Corte di cassazione con la sentenza n. 76 della Terza sezione penale, depositata ieri. La Corte, con la pronuncia, ha così, annullato con rinvio la condanna inflitta a un imprenditore bergamasco la cui società (attiva nei servizi immobiliari nella forma di società a responsabilità limitata) aveva indicato, nelle dichiarazioni del 2003, 2004 e primi 6 mesi del 2005, crediti Iva inesistenti per portarli in compensazione delle imposte e delle ritenute d'acconto.
Approdato sino in Cassazione, il caso ha visto i giudici smentire in parte la sentenza della Corte d'appello di Brescia. Quest'ultima dovrà valutare con attenzione le modalità con le quali il reato è stato posto in essere e quali ne sono state le conseguenze. Infatti, la Cassazione sottolinea che il reato previsto dall'articolo 10 quater del decreto legislativo 74 del 2000 che punisce l'indebita compensazione si perfeziona nel momento in cui viene realizzata l'operazione per un importo superiore a 50mila euro con riferimento al singolo periodo d'imposta.
Il riferimento alla soglia di punibilità deriva dal rinvio che lo stesso articolo 10 quater fa ai limiti previsti dal precedente articolo 10 bis. «Pertanto – ricordano i giudici –, nel caso in cui, nel corso di uno stesso periodo d'imposta, siano state effettuate compensazioni con crediti non spettanti o inesistenti per importi inferiori a tale soglia, la figura illecita in esame non può ritenersi integrata, in quanto il reato si configura solo nel momento in cui si procede, per lo stesso periodo d'imposta, alla compensazione di un ulteriore importo di crediti non spettanti o inesistenti che, sommato agli importi già utilizzati in compensazione, sia superiore alla soglia di rilevanza di 50mila euro».
Un aspetto, cruciale, che i giudici di merito non hanno esaminato con attenzione. Nei motivi di ricorso, infatti, si faceva notare come la Corte d'appello di Brescia avesse dato per certo lo sfondamento del muro dei 50mila euro, quando invece l'unico atto di fonte agenzia delle Entrate che riguardava l'imprenditore attestava come per l'anno 2003 il debito tributario oggetto di indebita compensazione fosse pari a 9221,71 euro mentre per l'anno 2004 era di 14.577,63 euro.
Quanto al rapporto tra norma penale tributaria e più generale disposizione penale generale (fra indebita compensazione e indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato, cioè), la Cassazione spiega che la condotta descritta nell'articolo 10 quater del decreto 74/2000 va ricondotta nel più generale contesto dell'articolo 316 ter del Codice penale, nell'ambito del quale a rilevare è la falsità ideologica commessa dal richiedente. Il nucleo comune delle due disposizioni è costituito dalla falsità ideologica della dichiarazione visto che, nel reato tributario, viene attestata l'esistenza di crediti fittizi da portare in compensazione. L'articolo 10 quater, osserva ancora la pronuncia, richiede poi solo il dolo generico senza che sia necessaria l'ulteriore intenzione dell'evasione. Fuori discussione infine il rapporto di specialità della fattispecie tributaria rispetto a quella del Codice penale.