La pandemia regala un anno d’oro ai giganti dell’hi-tech e trasforma Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon e Facebook nella terza potenza economica mondiale dopo Usa e Cina: la corsa dei titoli delle cinque star di Wall Street ha spinto il loro valore in Borsa a 7,8 trilioni di dollari, quasi il doppio del Pil del Giappone e cinque volte quello italiano. E il boom di smart-working, didattica a distanza, e-commerce e videogiochi causa Covid ha spedito alle stelle i loro bilanci: i profitti complessivi nell’ultimo trimestre 2020 (quando hanno guadagnato in media 834 milioni al giorno) sono decollati del 43%. I ricavi 2020 hanno polverizzato quota mille miliardi, pari a qualcosa come 2,8 miliardi di incassi ogni 24 ore. Numeri “monstre” che si sono trasformati in un boomerang, viste le inchieste aperte dalle autorità antitrust in Usa e Ue per il rischio di oligopolio digitale.
Il coronavirus del resto – come ha ammesso il numero uno di Microsoft Satya Nadella – «è stato l’alba di una nuova epocale trasformazione tecnologica». I numeri confermano: Apple ha venduto tra ottobre e dicembre 2020 un milione di iPhone al giorno (con un +57% in Cina), un record assoluto. Amazon ha assunto in un anno 400 mila persone per star dietro alla valanga di ordini e ha incassato per la prima volta nella sua storia più di un miliardo al giorno. Microsoft ha visto crescere del 40% la domanda per la console Xbox mentre gli utenti giornalieri di Teams – la piattaforma per le videoconferenze che ha spopolato in pandemia – sono saliti dai 40 milioni di aprile scorso ai 115 milioni di oggi. Facebook e Google hanno consolidato il loro dominio sul mercato pubblicitario mondiale: gli incassi di Youtube, per dire, sono aumentati del 70%, mentre il social di Mark Zuckerberg controlla ormai secondo Emarketer il 24% della torta degli spot.
La Borsa ha seguito in fotocopia il boom dei business. Apple (+82% da inizio 2020) capitalizza 2,2 miliardi, più o meno come il Pil della Francia. Amazon (+81%) viaggia ai suoi massimi storici e ha spinto a 200 miliardi il valore del tesoretto azionario di Jeff Bezos. L’unico numero che stenta a decollare è quello delle tasse pagate dai colossi hi-tech. L’ottimo lavoro di ottimizzazione (le malelingue dicono evasione) fiscale fatto dai loro uffici tributari ha consentito di limitare al 14% l’aliquota fiscale pagata sugli utili complessivi.
Il problema di big-tech, in questo momento, è per assurdo proprio il suo successo. La Ue ha allo studio due provvedimenti legislativi (il Digital market act e il Digital service act) destinati a ridisegnare le regole delle piattaforme con il rischio di multe pesanti per chi non rispetterà i paletti più rigidi di Bruxelles. «Molte imprese hi-tech sembrano essere diventate troppo grandi per disinteressarsi agli effetti che producono su cittadini, imprese, società e democrazia», ha detto Thierry Breton, commissario Ue al mercato interno. Il Parlamento Usa ha alzato i toni in modo bipartisan contro i colossi digitali e non a caso è già partita una maxi- causa per pratiche anti-concorrenziali contro Google.
Altro capitolo delicatissimo è quello tributario. L’Ocse ha allo studio un progetto per tassare i colossi hi-tech nei Paesi dove formano il loro reddito e non in quelli dove le imposte sono più basse. Washington, sotto la guida di Donald Trump, si è messa di traverso ma l’arrivo di Biden potrebbe far girare ora il vento. E un accordo globale sulla web tax potrebbe frenare la corsa dorata delle stelle digitali di Wall Street.