Cassazione “sorda” alle nuove norme in tema di abuso del diritto. Come se nulla fosse accaduto con l’entrata in vigore del Dlgs 128/2015, entrato in vigore il 2 settembre scorso, nella sentenza 8542/2016 la Suprema corte continua a riqualificare complessivamente in termini di asset deal (e cioè di compravendita di azienda) una vicenda di collegamento negoziale tra un conferimento in natura in una società e una successiva cessione delle partecipazioni della società conferitaria rinvenienti da tale conferimento (nel gergo degli operatori professionali: uno share deal).
Secondo la Cassazione, in base all’articolo 20 del Dpr 131/1986 (per il quale oggetto di imposizione devono essere l’intrinseca natura e gli effetti degli atti presentati alla registrazione) «l’amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società, senza essere tenuta a provare l’intento elusivo delle parti, attesa l’identità della funzione economica dei due contratti, consistente nel trasferimento del potere di godimento e disposizione dell’azienda da un gruppo di soggetti a un altro gruppo o individuo».
In base alla nuova normativa sull’abuso del diritto, invece, si ha abuso a danno dell’ordinamento tributario quando si compiono «operazioni prive di sostanza economica» che «realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» (articolo 10-bis, comma 1, dello Statuto del contribuente) in quanto si tratta di atti «inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali» (articolo 10-bis, comma 2, lettera a). Non ricorre però l’abuso quando l’operazione è qualificabile come legittima ricerca di un risparmio fiscale (articolo 10-bis, comma 4) e quando si tratta di operazioni che (articolo 10-bis, comma 12) costituiscono «violazione di specifiche disposizioni tributarie» (in quest’ultimo caso si configura infatti una fattispecie di evasione e non di elusione).
Per l’abuso vi devono essere:
il raggiungimento di un risultato giuridico (non vietato dall’ordinamento: in tal caso si ha evasione) cui si possa pervenire mediante una pluralità di percorsi;
la liceità (perché di nuovo, in caso contrario, si avrebbe evasione) e la maggior convenienza del percorso utilizzato rispetto agli altri possibili;
il percorso utilizzato non deve essere caratterizzato dal fatto di provocare «essenzialmente» (cioè: per lo più) «vantaggi fiscali indebiti».
In altre parole, intanto il percorso compiuto si giustifica (come lecito risparmio fiscale) in quanto esso non sia vietato e sia dotato di «sostanza economica» e, quindi, non sia unicamente o prevalentemente il frutto di una mera architettura fiscale.
Ora, al cospetto di questa nuova normativa, l’articolo 20 del Testo unico del registro (Tur), può finalmente tornare a rivestire quel suo ruolo originario di norma non tanto «antielusiva» (che gli è stato forzosamente attribuito negli ultimi 15 anni) ma di “norma cardine” nell’ambito di un’imposta preordinata alla tassazione del singolo atto presentato all’amministrazione finanziaria: e cioè una norma interpretativa, in base alla quale per la tassazione non ci si deve fermare alla apparenza esteriore dell’atto, ma occorre verificarne la sostanza: se un contratto è denominato «preliminare di compravendita», ma prevede l’intero pagamento del prezzo e la consegna del bene compravenduto (con accollo di spese e rischi in capo al «promissario acquirente») non dovrebbe essere sorprendente che ne venga pretesa la tassazione come un contratto definitivo e non come un contratto preliminare.
Ma se una vicenda contrattuale consta appunto di un atto di conferimento e di una successiva cessione di partecipazioni, l’articolo 20 non pare poter più essere utilizzato per riqualificare come unico negozio il collegamento tra una pluralità di negozi: a questo “lavoro” dovrebbe infatti essere destinato d’ora innanzi l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente. In tal caso, non c’è violazione di norme di tributarie (anzi, si tratta di operazione espressamente consentita dall’articolo 176 del Tuir) e di certo non si «realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» (articolo 10-bis, comma 1).
In base alla nuova normativa sull’abuso del diritto, invece, si ha abuso a danno dell’ordinamento tributario quando si compiono «operazioni prive di sostanza economica» che «realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» (articolo 10-bis, comma 1, dello Statuto del contribuente) in quanto si tratta di atti «inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali» (articolo 10-bis, comma 2, lettera a). Non ricorre però l’abuso quando l’operazione è qualificabile come legittima ricerca di un risparmio fiscale (articolo 10-bis, comma 4) e quando si tratta di operazioni che (articolo 10-bis, comma 12) costituiscono «violazione di specifiche disposizioni tributarie» (in quest’ultimo caso si configura infatti una fattispecie di evasione e non di elusione).
Per l’abuso vi devono essere:
il raggiungimento di un risultato giuridico (non vietato dall’ordinamento: in tal caso si ha evasione) cui si possa pervenire mediante una pluralità di percorsi;
la liceità (perché di nuovo, in caso contrario, si avrebbe evasione) e la maggior convenienza del percorso utilizzato rispetto agli altri possibili;
il percorso utilizzato non deve essere caratterizzato dal fatto di provocare «essenzialmente» (cioè: per lo più) «vantaggi fiscali indebiti».
In altre parole, intanto il percorso compiuto si giustifica (come lecito risparmio fiscale) in quanto esso non sia vietato e sia dotato di «sostanza economica» e, quindi, non sia unicamente o prevalentemente il frutto di una mera architettura fiscale.
Ora, al cospetto di questa nuova normativa, l’articolo 20 del Testo unico del registro (Tur), può finalmente tornare a rivestire quel suo ruolo originario di norma non tanto «antielusiva» (che gli è stato forzosamente attribuito negli ultimi 15 anni) ma di “norma cardine” nell’ambito di un’imposta preordinata alla tassazione del singolo atto presentato all’amministrazione finanziaria: e cioè una norma interpretativa, in base alla quale per la tassazione non ci si deve fermare alla apparenza esteriore dell’atto, ma occorre verificarne la sostanza: se un contratto è denominato «preliminare di compravendita», ma prevede l’intero pagamento del prezzo e la consegna del bene compravenduto (con accollo di spese e rischi in capo al «promissario acquirente») non dovrebbe essere sorprendente che ne venga pretesa la tassazione come un contratto definitivo e non come un contratto preliminare.
Ma se una vicenda contrattuale consta appunto di un atto di conferimento e di una successiva cessione di partecipazioni, l’articolo 20 non pare poter più essere utilizzato per riqualificare come unico negozio il collegamento tra una pluralità di negozi: a questo “lavoro” dovrebbe infatti essere destinato d’ora innanzi l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente. In tal caso, non c’è violazione di norme di tributarie (anzi, si tratta di operazione espressamente consentita dall’articolo 176 del Tuir) e di certo non si «realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» (articolo 10-bis, comma 1).
Angelo Busani