Meno banca, più impresa. Questo potrebbe essere lo slogan che riassume, oggi, il sentimento espresso dagli imprenditori durante un sondaggio realizzato nello scorso mese di maggio dalla società Eurometra Monterosa e che sarà presentato giovedì 9 giugno a Palazzo Mezzanotte nel convegno «The good bank: banche, imprese e capitali tra nuove regole e scenari in evoluzione» organizzato da Le Fonti di cui Corriere Economia è media partner.
AlternativeBanche distratte, piegate sui loro problemi interni di governance . Così le imprese si sentono trascurate e cercano forme di finanziamento alternative. «Non c’è acrimonia nei confronti delle banche da parte delle imprese — precisa Fabrizio Fornezza, presidente di Eurometra Monterosa —, ma timore, perplessità e preoccupazione. La banca non è più il simbolo di sicurezza. Dopo i casi di credit crunch e l’introduzione del bail-in , soprattutto le piccole e medie imprese, non si fidano più incondizionatamente degli istituti di credito e più precisamente non vogliono più dipendere da loro».
Sono ancora vivi nella memoria i richiami perentori di rientro da fidi e finanziamenti che, nella fase di stretta creditizia, gli istituti di credito hanno rivolto a imprese e famiglie. E, come se non bastasse, a questo fenomeno, si sono poi aggiunte la crisi di alcune banche e l’introduzione della norma europea che, in casi di estrema difficoltà, prevede l’azzeramento delle obbligazioni subordinate e il prelievo forzoso da conti correnti e depositi oltre i centomila euro.
Da qui, la percezione che le banche non siano più forzieri inespugnabili e che abbiano staccato la spina, scollegandosi dai bisogni di famiglie e imprese, perché impegnati a far quadrare i conti, tagliando sportelli e personale. «Solo due su dieci imprenditori, oggi, pensa alla banca come unico soggetto a cui rivolgersi per un finanziamento — aggiunge Fornezza —. Provocatoriamente, potremmo dire che è iniziata l’avanzata del peer to peer corporate ».
Le imprese negli ultimi anni, infatti, si sono portate avanti e hanno elaborato una strategia d’indipendenza che si traduce in autofinanziamento, prestito soci, terzi investitori, bond aziendali, private equity e venture .
RichiesteLe due formule «prestito soci» e «terzi investitori» sono ormai adottate da oltre un terzo delle pmi. In pratica, per finanziare l’azienda si ricorre agli stessi azionisti o ad altri imprenditori, magari della stessa filiera. Stanno prendendo piede anche i bond aziendali che, però, come il private equity riguardano aziende di grandi dimensioni, con fatturati elevati, mentre il venture , nasce per dare ossigeno alle start up .
In questo panorama, dunque, cosa si chiede alle banche? Un colpo di reni per recuperare il rapporto con il Paese, ridefinendo il loro ruolo, non tanto allargando i cordoni della borsa, ma soprattutto proponendo nuovi servizi a supporto dello sviluppo . «Oggi, – conclude Fornezza, – le imprese hanno bisogno di irrobustirsi, serve loro consulenza su mercati e partnership e la banca ha la cultura e le competenze per affiancarle nella crescita».