19.09.2013

Case confinanti, niente varchi

  • Il Sole 24 Ore

L’affittuario che demolisce un muro condominiale per aprire un passaggio con un appartamento che sta in un altro palazzo deve rimettere le cose a posto e pagare i danni. Anche se tra gli appartamenti un varco c’era già. La Corte di cassazione, con la sentenza 21395 depositata ieri, censura il comportamento di una società che, avendo in affitto due appartamenti in stabili diversi, li aveva messi in comunicazione demolendo un muro di proprietà del condominio. A finire in tribunale, in prima battuta era stato il proprietario che, a sua volta aveva chiamato in causa gli affittuari, responsabili di aver eseguito i lavori. Il tribunale non aveva fatto torto a nessuno, condannando entrambi alla ricostruzione e al pagamento dei danni, quantificati in 25mila euro. Con il ricorso in Corte d’appello si “salvava” il proprietario e veniva condannato l’affittuario al ripristino e al versamento di 10mila euro di danni.
Alla base della condanna l’accusa di aver messo a dura prova solai e fondamenta e di aver gettato le basi per una servitù sulle parti comuni.
La ricorrente dal canto suo si era difesa affermando l’esistenza sia di una preesistente servitù di passaggio sia di un altro varco tra i due appartamenti.
L’apertura di una seconda porta comunicante nel muro perimetrale non costituiva dunque, secondo gli affittuari, una nuova servitù né un aggravamento della prima perché ne lasciava inalterati il contenuto, la portata e l’oggetto, mentre cambiava solo le modalità di esercizio. Nel suo ricorso la “banda del buco” negava di aver provocato un danno al condominio che non era stato neppure limitato nel suo diritto di proprietà, perché non aveva accesso in nessuno dei due locali messi in comunicazione.
La pensa diversamente la Cassazione che conferma l’uso indebito della cosa comune, anche se fa segnare un punto a favore del ricorrente sulla quantificazione del danno.
La Suprema corte prende atto dell’esistenza di un altro accesso situato in un’altra parte della casa ma nega che questo possa costituire un lasciapassare per aprirne altri. «L’apertura di un altro e diverso varco – si legge nella sentenza – non può essere ritenuta una semplice modalità di esercizio “ampliativa” della preesistente facoltà, o in essa ricompresa ai sensi dell’articolo 1027 del Codice civile, ma determina un onere nuovo e diverso a carico del fondo servente».
La seconda via poneva le premesse per la costituzione di un’ulteriore servitù e aumentava il peso a carico delle strutture del palazzo, entrando così in rotta di collisione con quanto previsto dall’articolo 1067 del Codice civile, che vieta al proprietario del fondo dominante di creare le condizioni per rendere più gravosa la condizione del fondo servente.
Per riparare al danno non basta neppure rimettere le cose come stavano ma è necessario un risarcimento per equivalente. Il passaggio incriminato è stato realizzato demolendo il muro del condominio e dunque non è vero, come voleva il ricorrente, che il diritto di proprietà è rimasto integro. In più, l’accertata demolizione era destinata a separare un condominio da un’altro. Un pregiudizio qualificabile come danno dipendente da un fatto illecito.
Su un punto, però, la Cassazione dà ragione al ricorrente: la Corte d’appello non ha indicato un valido criterio di liquidazione. La Suprema corte ammette la possibilità per il giudice di merito di indicare il danno in via presuntiva quando non ha elementi sufficienti a determinarlo con esattezza. Ma l’unico parametro individuato dai giudici di seconda istanza nel tempo intercorso tra la demolizione dell’opera demolitrice e la data della sentenza di appello non fornisce alcuna indicazione sulla reale entità del danno e non aiuta a capire se la cifra di 10mila euro «non simbolica ma significativa» è proporzionata.