L’imprenditore già condannato per bancarotta documentale può essere processato, in relazione agli stessi fatti, anche per il reato fiscale di distruzione dei documenti contabili. Non sussiste, in questo caso, il ne bis in idem. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 18927 del 20 aprile 2017, ha confermato a carico di un manager la condanna a quasi due anni di reclusione. La terza sezione penale ha infatti completamente confermato l’impianto accusatorio escludendo il ne bis in idem fra i due reati. In altre parole, hanno spiegato gli Ermellini, non sussiste la violazione del principio del ne bis in idem (art. 649 cod. proc. pen.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 del dlgs n. 74 del 2000) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal – tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216 , n. 2 legge fall. si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative.
Debora Alberici