13.12.2013

Cancellazione senza arbitri

  • Il Sole 24 Ore

I liquidatori delle società di capitali spesso si trovano di fronte a una scelta non facile quando la liquidazione ormai è giunta all’epilogo e residuano debiti che non potranno trovare capienza nell’attivo patrimoniale, e i soci si dichiarano indisponibili ad accollare le passività non estinte. La scelta consiste nel valutare se tenere ancora in vita la società, magari superando la data di fine esercizio 2013, e quindi maturando ulteriori costi di gestione, oppure presentare il bilancio finale di liquidazione ai soci e, una volta ottenuta la loro approvazione tacita o esplicita, cancellare la società al registro delle imprese.
L’effetto della cancellazione
L’articolo 2495 del Codice civile, nella versione introdotta dalla riforma del 2004, stabilisce che, una volta cancellata la società al registro delle imprese, essa si estingue sotto ogni profilo, quindi non è più passibile di alcuna azione o alcun reclamo da parte di eventuali creditori non soddisfatti. In questo senso si è pronunciata la Cassazione con sentenza 22548 del 5 novembre 2010 in cui si legge che la cancellazione della società al registro imprese ha natura costitutiva dell’estinzione, e ciò anche di fronte alla sussistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti. Di fronte alla intervenuta cancellazione della società, il comma 2 dell’articolo 2495 afferma che il creditore insoddisfatto potrà agire nei confronti dei soci, limitatamente alle somme o ai valori da loro incassati nella fase di liquidazione o nei confronti dello stesso liquidatore se l’inadempimento deriva da colpa di quest’ultimo.
Da questo scenario normativo deriva che la scelta di cancellare la società al registro delle imprese, una volta approvato il bilancio finale, sia lasciata al liquidatore e non sia sindacabile dal conservatore del registro delle imprese. Questo passaggio è delicato perché risulta che alcuni registri delle imprese negano la cancellazione della società se nel bilancio finale residuano passività non estinte né accollate dai soci. La questione è opinabile e controversa e ha dato adito ai diverse tesi in dottrina e giurisprudenza. Sul punto non sembra di rinvenire nell’articolo 2495 alcuna disposizione che assegni al registro delle imprese un giudizio di merito sulla richiesta di cancellazione e in questo senso si è espresso un decreto del Tribunale di Catania del 9 aprile 2009 in cui si legge che «deve, infatti, affermarsi che l’esistenza di situazioni debitorie della società non costituisca elemento che possa essere valutato dal conservatore del registro all’atto della cancellazione della società, al fine di impedirla».
Le conseguenze
Ipotizzando che la società venga cancellata pur in presenza di passività non estinte, e postulando che i soci non abbiano incassato alcunché in pendenza di liquidazione, occorre interrogarsi sulla posizione del liquidatore di fronte ai creditori insoddisfatti. Può dirsi che il suo comportamento è caratterizzato da colpa se una liquidazione si è chiusa non estinguendo tutte le posizioni debitorie? La questione è complessa e ruota attorno alla traduzione in concreto del termine colpa. Quando il liquidatore agisce con colpa? Fermo restando che la norma non aiuta a dissipare questo dubbio e che la giurisprudenza spesso si limita a generici riferimenti a comportamenti negligenti o imprudenti, la vera domanda è se il liquidatore aveva delle alternative esperibili alla conduzione della liquidazione in bonis. In altri termini il liquidatore consapevole che l’attivo patrimoniale non è sufficiente a saldare le passività, e consapevole altresì che i soci non sono disponibili a eseguire versamenti, doveva produrre un’istanza di fallimento per potersi definire immune da colpa? A leggere un passaggio del documento Oic 5 sembrerebbe di sì, laddove si afferma che ove l’attivo della liquidazione non sia sufficiente il liquidatore ha l’obbligo di chiedere al tribunale (ovviamente ricorrendone i requisiti) la dichiarazione di fallimento. Tuttavia esiste anche una diversa tesi, meno rigida, secondo cui il liquidatore agisce senza colpa conducendo in bonis una liquidazione con passività non estinte, se si dimostra che anche ricorrendo al fallimento non sarebbe mutato l’attivo patrimoniale e quindi i creditori non ne avrebbero tratto alcun beneficio. In questo senso, e a queste condizioni, la cancellazione di una società con passività potrebbe essere una scelta corretta da eseguire senza indugi anche al fine di non creare, prolungandone l’esistenza, nuove passività che non verrebbero saldate con assoluta certezza.