20.01.2021

Buco da mille miliardi Ecco i danni del Covid nelle imprese europee

  • Il Sole 24 Ore

Il 10% delle società europee ha riserve liquide per durare solo sei mesi. Già questo dato, calcolato dall’Associazione dei mercati finanziari europei (Afme) e da PwC, dovrebbe far venire i brividi a qualunque Governo. E attivare risposte immediate. Ma il numero davvero preoccupante è un altro: le imprese dell’Unione europea, colpite dalla lunga pandemia e dai ripetuti lockdown, avranno bisogno di mille miliardi di euro di capitali freschi per risollevarsi dalla crisi. Mille miliardi. Servirà insomma una montagna di soldi per colmare la voragine patrimoniale che il Covid 19 ha scavato nei loro bilanci. Di questi mille miliardi (dei quali 175 servono alle imprese italiane) nel prossimo biennio ne saranno disponibili sul mercato solo qualcosa come 400-550: questo significa che è urgente trovare ulteriori 450-600 miliardi per evitare che il ”buco” patrimoniale scavato dal Covid nei bilanci delle imprese condanni l’intero Continente a una lunga crisi.

Dopo quasi un anno dall’arrivo del coronavirus in Europa, sono l’Afme e Pwc a tirare le somme sui danni economici che la pandemia ha provocato sui bilanci delle aziende europee. Perché è vero che nei mesi del lockdown i Governi sono intervenuti (tutti, chi meglio e chi peggio) per sostenere le imprese, in gran parte mettendo la garanzia statale sui prestiti bancari. Ma è anche vero che i finanziamenti (anche quelli garantiti) sono pur sempre debiti, che hanno sostituito ricavi mancati nei bilanci delle aziende. Dopo il Covid, quando le misure d’emergenza saranno finite, resterà dunque sulle spalle delle imprese una montagna di debiti “sterili”, serviti solo per sopravvivere durante la pandemia e per sopperire alla mancanza di fatturato dovuta ai lockdown.

Questo problema andrà affrontato con tempestività. Anche perché riguarda tutti i Paesi: se le imprese italiane – secondo lo studio – hanno un buco di capitale pari a 175 miliardi, peggio ancora se la passano le aziende tedesche (che necessitano di 190 miliardi di capitale) e quelle francesi (220 miliardi). Poco sotto l’Italia si trova la Spagna (155 miliardi). Numeri che riflettono, ovviamente, le dimensioni delle varie economie. Ma che lanciano un messaggio chiaro: il male è comune. E la risposta deve essere comune. «Afme suggerisce varie proposte alle istituzioni europee e nazionali – spiega Adam Farkas, Chief Executive Officer dell’Associazione -. Il nostro punto di partenza è che sui mercati si possono trovare le risorse necessarie, sviluppando i giusti strumenti, per ridurre al massimo la necessità di interventi pubblici. E se servisse un’aiuto dalla mano pubblica, sarebbe meglio se arrivasse dall’Unione europea e non dai singoli Stati».

Mal comune

Prima delle proposte, è giusto osservare l’entità di questa voragine. La Commissione europea stima che il buco di capitale nelle imprese europee, provocato dalle perdite causate dalla pandemia, si collochi all’interno di una forchetta di 700-1.200 miliardi di euro tra il 2020 e il 2021. Pwc, raffinando la ricerca, arriva a calcolare che servano mille miliardi di euro per colmare il buco. Si tratta di una stima che potrebbe aumentare, qualora la pandemia dovesse perdurare. Il problema è che il mercato e il settore pubblico non riescono a soddisfare un fabbisogno di tale ammontare. Almeno con gli strumenti esistenti oggi.

Guardando alle risorse private, nel 2020 le imprese europee sono riuscite a raccogliere appena 77,4 miliardi di capitale “tradizionale” sul mercato. Si tratta del 7,7% del necessario. C’è un ulteriore bacino di capitale privato disponibile, cioè tutto il denaro raccolto dai fondi di private equity e pronto ad essere investito: Preqin stima che nelle casseforti di questi fondi europei ci siano 270 miliardi. Ai quali si possono aggiungere i 59 miliardi che si trovano nei fondi di private debt. Un discreto tesoretto, certo. Però non è detto che riesca ad affluire per intero nelle imprese europee. Infatti nel 2020 solo 16,4 miliardi sono stati investiti (sotto forma di capitale) nelle aziende del continente da parte dei fondi di private equity.

Sul fronte dei capitali pubblici, continua lo studio, non si trova molto di più. La maggior potenza di fuoco (sul fronte delle iniezioni possibili di capitale nelle imprese) in Europa si trova nella Bei, in parte del Recovery Fund, e nel futuro InvestEU Fund5. Tutto questo può mobilitare molti soldi. Ma non a sufficienza per arrivare a mille miliardi. Morale: resterebbe – secondo lo studio di Afme e Pwc – un buco di capitale ancora in cerca di risorse pari a 450-600 miliardi di euro. Una voragine che – secondo Afme – andrà colmata con l’innovazione finanziaria .

Le soluzioni proposte

L’Afme individua possibili soluzioni. In primo luogo propone di introdurre nella legislazione europea un nuovo «strumento ibrido» concepito apposta per le imprese. Potrebbe avere la forma di un nuovo strumento azionario privilegiato, che dia capitali freschi alle imprese senza diluire gli azionisti. «Esistono strumenti ibridi di questo tipo in alcune legislazioni europee e nel mondo – osserva Farkas -, l’Europa potrebbe semplicemente replicare quelli più efficaci, tenendo conto anche delle esperienze già fatte in altri mercati». Il concetto, a prescindere dalla forma tecnica, è ben chiaro: si tratterebbe di introdurre in Europa forme di investimento quasi-azionarie per ridurre la leva delle imprese, in grado di attrarre un appetito degli investitori alternativo a quello per il mercato azionario. O meglio: aggiuntivo.

Ma servirà un “aiutino”. «Da solo il mercato probabilmente non potrà farcela, potrebbe servire comunque un aiuto iniziale dal settore pubblico – ammette Farkas -. In questo caso, per evitare problematiche legate al tema degli aiuti di Stato, sarebbe bene che questo sostegno arrivi direttamente dall’Unione europea». Sul come né lo studio né Farkas si sbilanciano. Ma non è difficile immaginare cosa potrebbe davvero fare la differenza: Bruxelles potrebbe per esempio creare un fondo (qualcosa di simile al Recovery Fund) che raccolga soldi sul mercato per poi investirli in questi strumenti ibridi di nuova generazione, dando il via al mercato e attirando investitori privati. Insomma: l’Unione europea potrebbe ritagliarsi un ruolo di «anchor investor», di facilitatore, di volano. Per far decollare il mercato. Con una minima spesa, la resa sarebbe massima.

Ma anche questo potrebbe non bastare. Secondo Afme sarà necessario incrementare e potenziare i piani europei (già esistenti) di sostegno alla ripresa. A partire dal Fondo di garanzia europeo dell’Eif, mirato ai bisogni delle Pmi. «Lo strumento c’è, ma la sua potenza di fuoco attuale non è sufficiente – osserva Farkas -. Serve un incremento della sua dotazione». Ma serve anche un’altra cosa: rafforzare l’infrastruttura del mercato in Europa. Compito della Capital Market Union. Con azioni coordinate e ragionate come queste, Afme è convinta che il mercato – cioè i capitali privati – arriveranno. Così con un minimo sforzo pubblico, sarà possibile colmare quel “buco” che il Covid ha lasciato nelle imprese europee.