«Occorre rimanere calmi in questo momento critico»: l’appello di Michel Barnier, il negoziatore europeo per la Brexit, non poteva arrivare più a proposito. Perché se fino a ieri sembrava che i problemi per l’accordo fra Londra e Bruxelles si trovassero tutti a Westminster, adesso si scopre che anche in Europa — dopo un primo via libera dei ministri degli Affari Europei, ieri — c’è il rischio di un ripensamento al fotofinish. A far saltare l’unanimità finora osservata dai 27 è la Spagna: che ha fatto sapere di avere delle riserve sul compromesso raggiunto perché non si sente garantita sulla questione di Gibilterra. La Rocca, come viene chiamata, è il territorio britannico all’estremo lembo della penisola iberica verso cui Madrid ha un’attenzione speciale: il governo spagnolo chiede di negoziarne il futuro direttamente con Londra e non vuole che vi si applichi l’accordo raggiunto a livello europeo.
«Ci potrebbero essere delle sorprese dell’ultimo minuto», ha fatto sapere il ministro degli Esteri spagnolo, lasciando planare così un dubbio sull’approvazione finale del compromesso con Londra, prevista durante il summit europeo straordinario convocato per domenica prossima. Il consenso «potrebbe non essere così pacifico come sembra», ha detto Josep Borrell, sottolineando che per gli spagnoli «i futuri negoziati su Gibilterra sono una cosa separata. Finché questo non sarà chiaro, non saremo in grado di dare il nostro accordo».
Ma non è l’unica crepa che si è aperta nel fronte europeo, finora granitico nel negoziare con Londra. Michel Barnier aveva fatto balenare domenica l’ipotesi di una estensione fino al 2022 del periodo di transizione, quella fase successiva alla Brexit durante la quale non dovrebbe cambiare nulla e che si concluderebbe alla fine del 2020. Un’eventualità accolta con favore dalla Gran Bretagna, che avrebbe così più tempo per prepararsi, ma che ha invece irritato i francesi, che chiedono un transizione il più breve possibile. Una posizione, questa, condivisa anche dagli spagnoli. Dunque i governi europei vogliono vederci chiaro in questo accordo, raggiunto finora a livello tecnico, prima di dare il via libera definitivo. Ma per Theresa May i problemi più grossi restano quelli di casa. Gli ultrà della Brexit, contrari a un compromesso che considerano un tradimento, sperano di andare al voto di sfiducia contro la premier già in settimana: va però detto che le fatidiche 48 lettere dei deputati conservatori necessarie per avviare la procedura stentano a materializzarsi. O il postino di Westminster è entrato in sciopero, ha commentato la Bbc, oppure la rivolta si sta sgonfiando.
È ancora presto per lanciarsi in previsioni, ma va registrato che nel weekend si è assistito a un movimento di solidarietà verso la premier: questa figura che prosegue imperterrita, nonostante gli attacchi che arrivano da tutte le parti, comincia suscitare apprezzamento nel Paese, se non simpatia. Perfino il Daily Mail, il tabloid della Middle England che per anni ha vomitato bile euroscettica, col nuovo direttore si è mosso in soccorso del soldato May. Forse non tutto è perduto.
Luigi Ippolito