23.03.2018

Borse, una «taglia» sulle truffe social

  • Il Sole 24 Ore

Gli scandali di Facebook hanno messo in discussione democrazia e elezioni. Ma le autorità americane stanno puntando sempre più i riflettori anche su un altro, grave pericolo sollevato dagli abusi e inadeguati controlli sui colossi del social media, da Twitter a (anche) YouTube: in gioco, con fake news e intrusioni illegali nei dati, per la Sec, la Cftc e la stessa Fbi è oggi l’integrità di un altro pilastro della società e dell’economia, i mercati finanziari. Gli investitori sono a rischio, avvertono, di manipolazioni e truffe su strumenti nuovi e più vulnerabili quali le criptovalute come su titoli tradizionali.
Simbolo di questa sfida raccolta dalle authority è l’ultimo programma per scovare simili “schemi” via Internet lanciato dall’authority sui future della Cftc: offre, a cominciare da questo mese, taglie tra i cento e trecentomila dollari a chi, con le sue soffiate (i cosiddetti «whistle-blowers»), aiuterà a portare alla luce casi che comportino sanzioni superiori al milione. Tra le tattiche truffaldine nel mirino, in particolare quando si tratta di divise virtuali, sono le cosiddetti “pump and dump”, che utilizzando le piattaforme social gonfiano ad arte i valori per poi intascare illeciti guadagni facendo scattare vendite.
La Cftc non è la sola a mobilitarsi. L’autorità di supervisione mobiliare della Securities and Exchange Commission, che già coopera con l’authority dei future, ha tenuto a battesimo sotto il chairman Jay Clayton una task force con l’Fbi, già impegnata sulle piste delle manipolazioni politiche sui social, dedicata a pattugliare la “digitalizzazione” delle truffe. La divisione di Cyber Unit della Sec, guidata da Robert Cohen, dispone di 30 funzionari nel Paese per indagare e fermare «manipolazioni con informazioni diffuse da media social e elettronici», compresi falsi filing aziendali alla stessa Sec e atti di pirateria ai danni di dati non pubblici.
Il più recente allarme della Sec mostra un inquietante parallelo con quanto accaduto nelle urne con il Russiagate: «Se i social media possono offrire benefici agli investitori, presentano anche opportunità per i truffatori – avverte – Attraverso i social media questi possono diffondere informazioni false o ingannevoli su uno stock a un vasto numero di persone, con poco sforzo e bassi costi. Possono nascondere la loro identità e impersonare fonti credibili di informazione sui mercati». La manipolazione, aggunge, può avvenire ad esempio dando vita a voci infondate su un’azienda – usando network, chat room e bulletin boards digitali – che alterano il suo valore in Borsa. La storia di casi perseguiti è già ricca: in “Sec v Craig” ha accusato un individuo di aver fatto circolare sospetti fasulli di indagini federali contro un’azienda tecnologica e di test falliti ai danni di una società biotech, provocando perdite ai soci per 1,5 milioni. In un altro esempio ha perseguito una coppia canadese per aver usato Facebook e Twitter per “pompare” microcap, imponendo una multa e risarcimenti da circa 4 milioni di dollari.
Studi accademici e analisi rafforzano il crescente allarme delle authority. Esami di milioni di messaggi su Twitter al riguardo di titoli trattati su mercati over-the-counter hanno trovato quantità abnormi associate a forti movimenti al rialzo nei prezzi delle securities durante la stessa giornata, seguiti da crolli nella successiva settimana. Dimostrazione, ancora una volta, delle infinite variazioni nelle truffe basate su modelli “pump and dump”. È un fenomeno, nell’insieme, che fino ad oggi ha potuto far leva sull’influenza e credibilità conquistata dalle dominanti piattaforme Internet, che assieme vantano miliardi di utenti e sono diventate leader assoluti, da Facebook a Alphabet, nella raccolta pubblicitaria globale. La società specializzata nel misurare gli ascolti Nielsen ha rilevato che ben l’84% dei consumatori ha fiducia nelle raccomandazioni di familiari o amici derivate dai social.
Davanti alle dimensioni e ramificazioni – politiche, economiche e finanziarie – dell’attuale crisi dei social media, le tardive scuse e promesse di riforma presentate dal chief executive e fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, possono poco e forse per questo hanno mancato di rassicurare gli operatori. Di più può però forse un altro suo messaggio, tra le righe delle interviste con la quali ha rotto il silenzio a cinque giorni dall’esplosione dell’affaire di Cambridge Analytica, che con la sua violazione a fini elettorali della privacy di 50 milioni di utenti del social network ne ha in realtà esposto profonde debolezze e colpevoli carenze. Zuckerberg ha anche affermato che, nell’era digitale, il problema della sicurezza «non si risolverà mai del tutto» e che occorrerà lavorarci «per sempre». Un messaggio utile alle aziende del settore come ai legislatori e alle authority.

Marco Valsania