Nel corso della giornata non hanno aiutato a cambiare direzione le parole di Christine Lagarde, presidente del Fondo monetario internazionale, secondo cui la crescita globale del 2015 sarà inferiore al +3,5% stimato dall’Fmi a luglio. Dopodiché sono stati i dati contrastati degli Usa a mantenere la nebbia di fondo. Il ritmo di crescita del settore manifatturiero Usa ha rallentato ad agosto ai minimi di oltre due anni. L’Institute for Supply Management (Ism) ha reso noto che il suo indice è sceso a 51,1 da 52,7 del mese precedente, segnando la lettura più bassa da maggio 2013. Il dato è sotto le attese di 52,6 degli economisti. Mentre le spese per costruzioni negli Stati Uniti lo scorso luglio sono aumentate dello 0,7%, raggiungendo il livello più elevato dal 2008. Il dato è superiore alle attese (+0,6%). Nonostante quest’ultima buona indicazione le vendite hanno colpito anche Wall Street con un ribasso superiore al 3%, che è tanto se si considera che si tratta della Borsa più liquida al mondo. Nel frattempo si è indebolito il dollaro con l’euro che si è riavvicinato a quota 1,13 contro il biglietto verde.
Sul mercato dei titoli di Stato i bond della periferia sono stati venduti. Il rendimento del BTp a 10 anni è tornato a rivedere la soglia del 2% (per chiudere all’1,99%) con lo spread sul Bund tedesco in rialzo di quattro punti base a 120.
Il rallentamento della Cina ha poi dato una nuova spallata al prezzo del petrolio: le quotazioni del greggio hanno interrotto il poderoso rimbalzo che le aveva portate a salire di quasi il 30% dai minimi dello scorso 24 agosto. Ieri su Wti di New York e Brent del Mare del Nord sono tornate le vendite, e robuste. Il Wti è ridisceso sotto i 50 dollari (a 45) con un ribasso vicino al 7% e il Brent si è riposizionato in area 50 con un ribasso superiore ai sette punti percentuali.
Si è ricomposto quindi il mix di fattori che hanno alimentato la tempesta di agosto: la conferma dai dati che l’economia cinese sta rallentando, di conseguenza la domanda di petrolio e materie prime è vista in calo, e quindi il prezzo del greggio ne risente. A cascata ciò si riflette sulle aspettative di utili anche per le società europee, in particolare quelle votate all’export e al comparto energetico e del lusso. E quindi anche le Borse europee (nonostante un euro tutto sommato debole e il quantitative easing della Bce in corso) accusano il colpo. In un clima generale di avversione al rischio. A questo punto la palla passa al prossimo market mover della settimana, il consiglio della Bce in programma giovedì. Il governatore Mario Draghi potrebbe anche aprire la porta a un potenziamento del «Qe» da 60 miliardi al mese, un piano che finora è servito a sostenere il mercato dei titoli di Stato e ha favorito un’ottima performance per le azioni europee fino a marzo. Nella condizione attuale in cui sono piombati i mercati viene (maliziosamente) da chiedersi se nei recenti e violenti ribassi non ci sia – al di là della Cina e dell’incertezza su un rialzo dei tassi negli Usa il 17 settembre – un che di stagionale. Tendenzialmente i mesi estivi sono i più volatili (ieri l’indice della volatilità Vix è salito del 3% a quota 31, lontano da una condizione di normalità a 10-15 punti) e in questa fase sono i piccoli risparmiatori a rimetterci di più. La prova del nove su questa ipotesi arriverà con le prossime trimestrali delle grandi banche d’affari. Basterà vedere se nel frattempo avranno aumentato o no i profitti delle rispettive divisioni trading.