«Quando anche il barbiere ti chiede della Borsa, significa che è arrivato il momento di vendere». Bastava forse prestare attenzione all’antica saggezza per capire nelle scorse settimane che qualcosa sui mercati finanziari non funzionava: secondo le statistiche di Bank of America, infatti, a gennaio l’operazione più di moda sui mercati finanziari era speculare al ribasso sulla volatilità. Dato che la volatilità è rappresentata da un indice (il Vix), su cui sono costruiti futures e vari prodotti finanziari, a gennaio mentre Wall Street correva spopolava proprio questa ”moda”: usare tutti gli strumenti possibili per scommettere sul ribasso del Vix stesso. Che era già sui minimi storici.
Mercoledì e giovedì però l’indice Vix è salito leggermente, spiazzando molti investitori e scatenando un effetto valanga tutt’ora in corso. Anche ieri i ribassi sono stati violenti in Asia (Tokyo -4,73%, Hong Kong -5,12%) e in Europa (Milano -2,08%, Parigi -2,35%, Francoforte -2,32% e Londra -2,64%), mentre in America al termine di un’altalena Wall Street ha chiuso con un buon rialzo (2,33%). Nei tempi moderni i «barbieri» non sono più persone fisiche, in carne ed ossa, bensì in buona parte algoritmi. Sono alcuni di loro ad aver “affollato” la scommessa ribassista sul Vix. E sono alcuni di loro che poi hanno moltiplicato i ribassi con meccanismi automatici, causando un falò che in otto giorni ha bruciato 4mila miliardi di capitalizzazione borsistica nel mondo. Falò che tocca da tempo anche un altro mercato, del tutto separato: quello di Bitcoin, sceso sotto 6.000 dollari prima di recuperare quasi quota 8.000.
Il domino
Sulle Borse tutto è partito settimana scorsa da due notizie positive per l’economia (l’aumento dei salari in Germania e Stati Uniti), che sui mercati sono state interpretate in maniera negativa: perché potrebbero preludere a una ritirata più veloce del previsto degli stimoli delle banche centrali. Questo ha fatto salire per la prima volta da molto tempo, seppur di poco, la volatilità in Borsa. Già mercoledì e venerdì scorsi. Un movimento di poco conto in realtà.
Ma non per gli hedge fund che hanno una strategia chiamata «Levered long/short Vix»: loro speculavano pesantemente sulla volatilità bassa, e lo facevano a leva. Cioè con soldi presi in prestito. Il pur lieve rialzo della volatilità li ha quindi obbligati a comprare volatilità (cioè strumenti legati all’indice Vix) per compensare le perdite sulla scommessa ribassista. Questo ha avuto l’effetto di far salire ulteriormente la volatilità stessa, obbligandoli a comprarne altra. Morale: sebbene questi fondi nel mondo gestiscano solo 7 miliardi di dollari secondo i calcoli di Goldman Sachs, hanno fatto partire una valanga. «Si tratta di una strategia di nicchia, utilizzata per aumentare i ritorni in un periodo di bassi rendimenti», spiega Fabio Brambilla di Controlfida, asset manager specializzato in investimenti alternativi. «Ma è stata sufficiente per far partire l’effetto domino».
Una dopo l’altra sono infatti “caduti” tanti tasselli. I secondi ad essere investiti sono stati i fondi hedge che usano la strategia chiamata «Vol targeting»: si tratta di investitori che si pongono soglie di volatilità come obiettivo. Qui i numeri si fanno più grandi, dato che valgono 400 miliardi. Ebbene: appena la volatilità è salita sopra certe soglie, questi hanno automaticamente venduto azioni. Calcola Goldman Sachs che solo questi fondi (anch’essi vanno a leva) da settimana scorsa abbiano venduto azioni per circa 200 miliardi. Il domino si è dunque allargato.
Poi sono scattate sulla difensiva le strategie Cta, che hanno in gestione nel mondo 350 miliardi di dollari. Questi fondi tendono a vendere quando i trend di mercati si invertono. Ebbene: appena è accaduto, hanno scaricato qualcosa come 100 miliardi di dollari di azioni. Poi sono entrati in campo i fondi «risk parity», che nel mondo gestiscono 500 miliardi e hanno anch’essi una strategia che usa la volatilità come parametro per misurare i rischi. Anche loro hanno venduto in automatico azioni, tra i 50 e i 70 miliardi. Infine sono entrati in campo i pesci grossi: gli Etf. Quelli esposti sull’azionario con i meccanismi di «stop loss» (cioè che vendono in maniera automatica quando i ribassi superano certe soglie) hanno iniziato a fare la loro parte. E il domino è continuato. Anche perché l’indice Vix, che era sui minimi storici sotto 10%, continuava a salire, toccando ieri quota 50 per poi calare. Massimo dai tempi del crack Lehman.
I «termination event»
Così ieri i nodi sono venuti al pettine. Diversi prodotti che scommettevano sul ribasso della volatilità hanno subìto tali perdite che sono stati bloccati o chiusi. È il caso del XIV, prodotto da 2 miliardi di dollari, che ieri è stato liquidato dal Credit Suisse. Per la banca svizzera è infatti scattato il «termination event». Almeno una dozzina di Etf sono invece stati sospesi, altri hanno bloccato i riscatti. «Il problema di questi strumenti è che i loro algoritmi impostano i calcoli su serie storiche, ma i mercati finanziari negli ultimi anni sono stati così influenzati dalle banche centrali che le serie storiche sono state alterate», osserva Brambilla. Insomma, l’eccesso di liquidità ha “drogato” anche gli input degli algoritmi, portandoli a credere che la volatilità sarebbe rimasta bassa per molto tempo. Il domino continuerà? Secondo alcuni, il fatto che queste strategie siano state in gran parte chiuse ridurrà nei prossimi giorni il problema. Come ieri sera ha dimostrato Wall Street. Gli “untori”, insomma, potrebbero essere ormai in quarantena.
Morya Longo