Oltre al ministro delle Finanze tedesco e quello dell’Economia (il vicecancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel) e ai loro due colleghi, Michel Sapin e Emmanuel Macron, erano presenti infatti anche la numero due della Banca centrale di Francia, Anne Le Lorier, e il presidente della Bundesbank. Nella conferenza stampa finale Weidmann ha ribadito la sua linea di custode dell’ortodossia. Rispondendo ad una domanda, ha sostenuto che sarebbe «pericoloso» un intervento della Banca centrale europea per manipolare i cambi e far scendere il valore dell’euro. «Ma si tratta di una politica — ha detto — che nessuno, che io sappia, vuole perseguire». E sulla Germania, ha aggiunto, il governo alla fine della settimana rivedrà «in modo più prudente le sue stime sulla crescita del Pil». Il vertice franco-tedesco è stato anche l’occasione per mettere in rilievo l’importanza dell’iniziativa, lanciata insieme all’Italia, contro l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti nei Paesi dove è minore la pressione fiscale. «Si tratta di un’assoluta priorità», ha detto ieri Sapin illustrando il senso della proposta.
In vista del consiglio europeo di metà dicembre, la partita franco-tedesca si giocherà ora sulla effettiva capacità di realizzare quei programmi comuni che i due Paesi hanno intenzione di delineare con esattezza. «Il nostro obiettivo è di usare il tempo a disposizione per definire alcuni importanti progetti franco-tedeschi, dando sostanza al piano Juncker», ha spiegato Macron. Sono naturalmente ancora ben presenti, più in generale, differenze di impostazione su crescita o rigore. Il clima, però, è sembrato costruttivo. Certo, c’è il rischio che il riapparire dell’asse Merkel-Sarkozy possa irritare il presidente Hollande e i suoi ministri. Schäuble ha dribblato il problema. Gabriel, che è anche il leader dei socialdemocratici, ha osservato che fortunatamente non toccava a lui «rispondere alla domanda più difficile». Una frase, questa, in cui non mancava l’ironia.
Paolo Lepri