L’insistenza a più voci dei membri del consiglio che giugno sarà la volta buona per passare dalle parole ai fatti ha in pratica messo la Bce nella condizioni obbligata di dover agire. Con l’aspettativa che si è creata sui mercati, infatti, la mancata decisione non lascerebbe le cose immutate, ma creerebbe di fatto un’immediata restrizione delle condizioni monetarie, attraverso un rialzo dell’euro, situazione che il consiglio vuole evitare.
Il taglio dei tassi dovrebbe includere sia una riduzione di 10-15 punti base del tasso principale di rifinanziamento, oggi allo 0,25%, sia quella del tasso sui depositi delle banche presso la Bce, oggi a zero: il taglio contemporaneo permetterebbe di mantenere il corridoio fra l’uno e l’altro. Diverse fonti di mercato ritengono oggi la prima mossa più importante della seconda. Infatti, riducendo il tasso refi, la Bce può abbassare il riferimento per i tassi del mercato monetario, che in tempi recenti hanno mostrato eccessiva volatilità. Il tasso negativo sui depositi, ritenuto fino a qualche tempo uno strumento adatto a far scendere l’euro (il cambio forte è una delle principali preoccupazioni della Bce per il suo impatto disinflazionistico), ora, dopo la lunga procastinazione, appare alle stesse fonti di mercato un’arma che potrebbe rivelarsi spuntata.
Sul fronte della liquidità e del rilancio del credito, soprattutto alle piccole e medie imprese, le opzioni sono diverse: Praet ha citato esplicitamente la possibilità di un nuova iniezione a lungo termine (Ltro), ma condizionata alla concessione di credito all’economia reale. La Bce potrebbe inoltre procedere all’acquisto di titoli cartolarizzati (Abs) da prestiti alle Pmi: non è escluso che questa mossa venga annunciata, ma messa in atto più avanti, per definirne i dettagli tecnici e portare avanti la revisione dei requisiti patrimoniali che oggi penalizza questo strumento. Restano sul tavolo anche l’allungamento dell’allocazione illimitata a tasso fiso (fixed rate full allotment) e la fine della sterilizzazione dei titoli acquistati con il programma Smp, che corrisponderebbe a 165 miliardi di nuova liquidità.
L’acquisto di titoli, il quantitative easing (Qe), resta un’ipotesi, politicamente spinosa, da esplorare solo, come ha confermato ieri Praet, in caso di «significativo peggioramento» delle prospettive d’inflazione. Non è in agenda per giugno.