La forte contrazione dell’economia, con un Pil in caduta di 9 punti nel 2020, porterà a un aumento di circa 2.800 fallimenti aziendali entro il 2022. A questi default potrebbero poi aggiungersi altri 3.700 fallimenti «mancanti» nel corso dell’anno appena concluso a causa degli effetti temporanei della moratoria e delle misure di sostegno. Il totale dei fallimenti innescati dalla crisi sarebbe al momento attorno ai 6.500, quasi il 60 per cento di quelli registrati nel 2019 (circa 11mila), e in parte preponderante potrebbero verificarsi nel corso di quest’anno.
La stima è contenuta in una Nota Covid-19 pubblicata ieri da Bankitalia in cui si propone una relazione tra fallimenti e ciclo economico basata su un fattore di elasticità rispetto alla variazione del valore aggiunto. Le previsioni proposte dagli analisti di Palazzo Koch vanno interpretate con cautela: «da un lato – si spiega nella Nota – potrebbero essere sottostimate, nella misura in cui la caduta eccezionale del Pil comporterà un aumento maggiore di fallimenti rispetto a quanto stimato da precedenti fasi recessive; dall’altro lato, potrebbero essere sovrastimate se le misure di sostegno adottate e l’intensità della ripresa economica saranno capaci di aiutare le imprese a fronteggiare la difficile fase congiunturale».
Naturalmente i fallimenti rappresentano solo una parte della storia di questa crisi, visto che molte attività economiche usciranno dal mercato senza passare da procedure concorsuali. E infatti gli analisti segnalano che le loro elaborazioni sui dati di bilancio di tutte le società di capitali dimostrano che le società «fallibili», ovvero con i requisiti previsti dalle norme, sono circa il 76% del totale e incidono per la quasi totalità del valore aggiunto prodotto. I dati sui fallimenti sono stati raccolti dal Ministero della Giustizia mentre i dati sul ciclo economico provengono dai conti economici territoriali dell’Istat.
L’analisi econometrica prende le mosse dalla dinamica dei fallimenti del recentissimo passato, iscritti presso i tribunali italiani tra il 2007 e il 2019, periodo caratterizzato da una doppia recessione. Nel complesso, tra il 2007 e il 2014 la caduta del Pil è stata di 8,5 punti percentuali, e negli stessi anni il numero annuo di fallimenti è aumentato di 2,5 volte, passando da circa 6.000 a oltre 15.000. Negli più anni recenti, al contrario, il numero di fallimenti è progressivamente diminuito attestandosi nel 2019 intorno alle 11.000 unità. E nelle stime si ipotizza quest’ultimo valore come «fisiologico», ovvero legato a una situazione congiunturale normale.
Vale ricordare che secondo i dati del registro delle imprese raccolti da Infocamere, diversamente dalle attese all’inizio della pandemia, il numero dei fallimenti attualmente dichiarati nel 2020 è significativamente inferiore a quello del 2019: circa 3.700 (un terzo in meno rispetto all’anno precedente). Ma attenzione: questo risultato – si sottolinea nella Nota di Bankitalia – è riconducibile, innanzitutto, all’introduzione della moratoria per le domande di fallimento – dal 9 marzo al 30 giugno 2020 – relativamente sia alla dichiarazione di fallimento sia all’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza. Inoltre le forti limitazioni alle attività dei tribunali – nel lockdown e dopo – potrebbero aver rallentato l’attività di definizione dei procedimenti.
Ieri Bankitalia in una seconda Nota Covid-19 ha poi annunciato lo sviluppo di un nuovo indicatore settimanale dell’andamento dell’economia italiana, (Itwei), che terrà conto del nuovo contesto che si è determinato con la pandemia. Il nuovo indicatore sta dimostrando di essere particolarmente utile nella previsione e nell’analisi delle politiche in questa fase. L’indice Itwei – si spiega nella Nota – ha una buona capacità predittiva sia fuori campione durante la pandemia Covid-19 (gennaio 2020-settembre 2020), sia all’interno del campione in “tempi normali” (gennaio 2011-dicembre 2019); sono attualmente in corso ulteriori analisi per migliorare la stima dell’indicatore anticipatore.