Certo dopo l’asset quality review europea, anche le imprese dovranno sforzarsi a sostituire il «bancocentrismo» spesso alimentato da relazioni personali, con una richiesta di credito basata sulla trasparenza dei piani di sviluppo: «Oggi per chiedere credito le imprese si devono attrezzare con un’informativa più qualificata e strutturata: servono previsioni sui flussi finanziari e business plan validati da attori indipendenti – ha spiegato Giuseppe Latorre di Kpmg -. La qualità e la trasparenza dell’informazione è essenziale per far ripartire il credito alle imprese».
Tuttavia è anche vero che i futuri livelli di erogazione del credito difficilmente potranno soddisfare le esigenze delle aziende. Anche per questo è interessante vedere come si comporteranno strumenti di finanza alternativa come i minibond, che ancora vivono una fase di impasse: «Ci sono 7.800 società con i requisiti per i minibond. C’è un futuro per questa asset class, ma il mercato deve essere sufficientemente grande da garantire liquidità – ha aggiunto Paolo Federici di Fidelity -. Da parte degli emittenti, i minibond non devono essere un modo di sfuggire al credito bancario, ma uno strumento per un salto di qualità».
Eppure i fondi internazionali, Fidelity e non solo, sembrano ancora condizionati dai limiti che il sistema-Italia oppone all’arrivo di investitori internazionali. «Esiste un certo pregiudizio diffuso e ingiustificato sull’Italia che, a mio avviso ha a che fare con una cattiva comunicazione. Eppure l’Italia appare ben attrezzata dal punto di vista dalla compliance» ha commentato Wolf Michael Kühne di Dla Piper Italia, intervenuto in una tavola rotonda sull’internazionalizzazione delle imprese italiane con Nazzaro Paroli di Brevini Power Transmission e Giampaolo Bruno dell’Ice. E se Marzio Perrelli, country manager di un colosso mondiale come Hsbc, vede opportunità per i servizi alle imprese più internazionalizzate (la sua banca studia per il 2015 un ingresso nel segmento delle aziende da 200 milioni a un miliardo di fatturato), Simone Bini Smaghi che è responsabile dello sviluppo di Arca Sgr torna a evidenziare i limiti dell’incertezza normativa, eterno freno agli investimenti in Italia: «I fondi pensione sono lo strumento più congeniale per andare a finanziare le infrastrutture ma ci vuole una cornice adeguata – spiega – Gli ultimi provvedimenti del governo non vanno nella giusta direzione. Abbiamo bisogno di fondi pensioni più grandi, ma sopratutto di uno scenario di chiarezza».