09.08.2024

Banche, la tassa taglia-utili più interessi ai correntisti e più entrate per lo Stato

  • La Repubblica

La strada da cui attingere un po’ di risorse per la manovra è stata individuata. Ma è costellata di ostacoli, anche se il progetto ha una sua ragione e al ministero dell’Economia c’è la voglia di affinare la bozza che è stata già scritta. L’idea, anticipata ieri da Repubblica , è spingere le banche a remunerare, attraverso gli interessi attivi, i correntisti che prestano i loro risparmi agli istituti di credito. L’ipotesi è in fase avanzata, anche se bisognerà trovare una forma compatibile con la Costituzione e le leggi europee, un problema non da poco per il governo. Allo studio c’è una norma per ridurre il differenziale tra gli interessi attivi e passivi: più lo “spread” è ampio, maggiore è il vantaggio per le banche e, quindi, il costo che grava sui correntisti. L’obiettivo è ridurre questa forbice. In questo modo si andrebbe a ridurre il cosiddetto margine d’interesse, la fonte principale dei ricavi delle banche negli ultimi anni, che poi è quella che ha generato i cosiddetti “extraprofitti”.

Secondo i bancari della Fabi, il margine d’interesse degli istituti tricolori è salito nel 2023 a 62,1 miliardi di euro dai 45,2 del 2022: una voce importante che rappresenta quasi i due terzi del fatturato aggregato. Una “posizione di forza” che si scarica su imprese e famiglie. Lo scorso maggio, ultimo dato disponibile, per un’azienda chiedere i soldi in prestito costava in media il 5,91%, mentre la liquidità depositata sui conti rendeva in media l’1,03%, con uno spread del 4,88%. A una famiglia chiedere i soldi per un mutuo costava invece in media il 4,04%, contro una remunerazione della liquidità sui conti media dello 0,39% e quindi uno spread del 3,65%.Se poi ci fosse una correlazione di mercato tra quanto le banche remunerano i loro clienti e quanto gli chiedono per prestargli il denaro, aziende e italiani sarebbero più incentivate a mantenere la liquidità sui conti invece che investire in fondi, obbligazioni, polizze o altri prodotti finanziari che rappresentano un’altra importante fonte dei ricavi bancari: quella delle commissioni. Negli ultimi mesi, infatti, i ricavi da commissioni sono andati crescendo proprio perché le banche sollecitano i clienti a investire la liquidità, dato che rende poco e l’inflazione resta alta. Sempre stando ai dati Fabi, a maggio la liquidità depositata sui conti correnti ammontava a 1.309,5 miliardi di euro, in calo rispetto a dicembre 2022, quando prima dell’impennata dei tassi ufficiali era pari a 1.457,9 miliardi.

Nel primo semestre di quest’anno le banche oltre a lucrare sul margine d’interesse, hanno iniziato a sollecitare i clienti, consigliandoli di investire per recuperare la perdita di valore dei risparmi legata al carovita, e prepararsi in anticipo al taglio dei tassi della Fed atteso in autunno. Agli 1,3 mila miliardi fermi sui conti dovrebbero inoltre essere sommati i 160 miliardi dei risparmi depositati presso le Poste Italiane, che ugualmente non vengono remunerati, mentre i libretti postali di Cdp rendono lo 0,001% lordo.

Nell’idea del governo anche Poste verrebbe coinvolta. Se, per esempio, la liquidità depositata a maggio sui conti e presso le Poste venisse remunerata al 2%, ovvero meno della metà del tasso ufficiale di sconto, gli italiani si troverebbero in tasca in un anno poco meno di 22 miliardi di euro: lo Stato ne incasserebbe alla fonte 7,6 miliardi, attraverso il cosiddetto capital gain sugli interessi attivi.

Con più soldi in tasca aziende e famiglie potrebbero assumere, investire e generare più Pil a beneficio di tutti, tranne che degli istituti di credito. Le banche si ritroverebbero invece con meno utili e quindi anche con un gettito fiscale ridotto di cui il Mef dovrà tenere conto: in media le tasse sugli utili bancari è del 32,9% tra Ires, Irap e addizionale.