19.09.2017

Autoriciclaggio senza «presupposto»

  • Il Sole 24 Ore

In punta di diritto: la mancata contestazione del reato presupposto non esclude i gravi indizi di colpevolezza per autoriciclaggio. In punta di fatto: il consulente contabile che non segnala all’Ufficio italiano cambio le operazioni sospette rischia di essere indagato proprio per autoriciclaggio. Queste le conclusioni che si possono trarre dalla sentenza della Seconda sezione penale della Corte di cassazione depositata ieri, la n. 42561. La pronuncia ha così accolto il ricorso presentato dalla Procura contro l’ordinanza del riesame che aveva annullato a sua volta la misura degli arresti domiciliari nei confronti di un professionista.
Cosa emergeva a carico del professionista, stando alla lettura del capo d’imputaizione provvisorio? Che, in veste di consulente delle scritture contabili di un gruppo societario, avrebbe tenuto in maniera confusa e irregolare la contabilità e che non avrebbe segnalato all’Uic, pur avendone l’obbligo sulla base dell’articolo 41 del decreto legislativo n. 231 del 2007, operazioni di interposizione societaria che avevano come obiettivo il reimpiego di somme di provenienza criminale.
Per il tribunale del riesame tuttavia le conclusioni erano state diverse, visto che aveva annullato la misura cautelare, ritenendo invece che il complesso degli elementi raccolti non permetteva di affermare che l’indagato aveva piena consapevolezza che le somme investite provenissero da reati.
Contro la pronuncia, l’impugnazione del Pm aveva invece sottolineato come il professionista non fosse neppure la “classica” testa di legno, punto già sufficiente a fondare gli arresti domiciliari, ma piuttosto un soggetto in possesso di competenze particolari in matera tributaria e contabile, dotato inoltre di un minimo di potere gestorio visto che aveva le password di accesso ai conti della società.
È vero poi che al professionista non era stato contestato il reato presupposto e cioè la bancarotta, ma questo di per sè non poteva escludere l’esistenza di gravi indizi di autoriciclaggio: nel caso infatti si poteva profilare un’ipotesi di concorso dell’extraneus nel reato proprio.
La Cassazione sottolinea innanzitutto che lo stesso Riesame dà conto dell’esistenza di rapporti opachi tra il professionista e l’imprenditore e tuttavia non ha poi tenuto conto del fatto che il professionista era l’uomo deputato alla redazione dei bilanci e alla tenuta delle scritture contabili sella società attraverso i cui conti transitava il denaro proveniente dalla bancarotte; inoltre, dato poi valorizzato in particolare dalla Corte, a mancare era stata la segnalazione di una specifica operazione sospetta, chiaro indizio della volontà di del professionista di favorire l’imprenditore.
Pertanto, «la mancata contestazione in capo a X del reato presupposto (bancarotta) non può escludere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in capo all’indagato del reato di autoriciclaggio, posto che nel caso in esame si sostiene la sussistenza di un’ipotesi di concorso dell’extraneus nel reato proprio».