13.07.2018

Assegno di divorzio compensativo ma la disparità economica non è decisiva

  • Il Sole 24 Ore

Cosa cambia con la sentenza 18287/2018 delle Sezioni Unite sull’assegno di divorzio? Con il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte è stato definitivamente abbandonato sia l’orientamento precedente alla “sentenza Grilli”, che individuava nel tenore di vita il parametro cui fare riferimento per l’attribuzione dell’assegno divorzile, sia l’orientamento inaugurato dalla “sentenza Grilli”, che invece ancorava la decisione sull’assegno all’autosufficienza economica del coniuge richiedente.
In particolare, l’indirizzo giurisprudenziale che si era consolidato dalla sentenza delle Sezioni unite del 1990 (11490) aveva affermato il principio per cui il riconoscimento del diritto all’assegno divorzile fosse subordinato alla mancanza di mezzi adeguati a consentire al coniuge richiedente di «conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio», precisando tuttavia che, una volta accertata l’esistenza del diritto all’assegno, la determinazione in concreto del relativo importo doveva avvenire applicando gli altri criteri indicati dall’articolo 5 della legge sul divorzio (e cioè, le ragioni della separazione, le condizioni economiche dei coniugi, il contributo dato da ciascuno alla formazione del patrimonio familiare e la durata del matrimonio), che agivano come fattori di ponderazione/riduzione dell’assegno fino ad azzerarlo.
La sentenza della Cassazione 11504/2017 (“Sentenza Grilli”), invece, ha individuato il presupposto per l’attribuzione dell’assegno nell’assenza di mezzi adeguati a garantire l’autosufficienza economica del coniuge richiedente.
Entrambi gli orientamenti sono stati superati dall’ultima sentenza delle Sezioni unite che, in primo luogo, per scongiurare il rischio di legittimare ingiustificati arricchimenti e rendite parassitarie, ha ribadito che la funzione equilibratrice dell’assegno divorzile «non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale».
La sentenza precisa che l’assegno divorzile ha funzione assistenziale-compensativa-perequativa, quindi ha natura composita, e cioè deve essere attribuito e determinato alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali dei coniugi, in considerazione del contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali e future e all’età del beneficiario.
Dunque, il giudice deve valutare le condizioni economico-patrimoniali delle parti, ma deve anche accertare «se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata» del matrimonio.
Il giudizio di adeguatezza dei mezzi, dunque, secondo la Suprema Corte, ha anche un contenuto prognostico sulla concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diverso.
Diversamente, afferma il Collegio, il criterio dell’apporto fornito dall’ex coniuge risulterebbe marginalizzato, con conseguente ingiustificata sottovalutazione dell’autoresponsabilità.
In conclusione, pare che il diritto all’assegno divorzile debba essere escluso in tutti quei casi in cui, pur sussistendo astrattamente una (rilevante) sproporzione tra le posizioni economico-patrimoniali delle parti, l’ex coniuge richiedente abbia i mezzi per condurre una vita autonoma e non abbia contribuito in maniera significativa alla formazione del patrimonio familiare o dell’altro coniuge, poiché in tal caso la disparità non dipende dalle scelte di vita fatte dai coniugi durante il matrimonio.

Valeria De Vellis