Per Silvano Cassano, amministratore delegato di Alitalia, «questi accordi non sono più vantaggiosi, né sotto il profilo commerciale, né sotto il profilo strategico, per la nuova Alitalia e per il suo ambizioso piano di rilancio. Sono stati negoziati quando Alitalia era in una posizione molto diversa, con il risultato che gli stessi accordi, nella loro forma attuale, favoriscono la controparte». Il motivo è così spiegato: «Gli accordi limitano la nostra capacità di ridisegnare il nostro network e la possibilità per Alitalia di conseguire una sostenibilità di lungo termine delle proprie attività». Per fare un esempio, la nuova Alitalia sta ricostruendo il proprio settore cargo a partire da Malpensa, attività che sarebbe stata impedita dall’accordo in essere.
La rottura per ora è unilaterale: «Abbiamo comunicato ad Air France-Klm che siamo disposti a discutere accordi più equi a beneficio di tutti i soggetti coinvolti, ma finora non siamo pervenuti a questo risultato» si spiega.
La fine degli accordi di joint-venture non vuol dire però che Alitalia uscirà dall’alleanza che fa capo ai francesi: Skyteam. Non è intenzione dei nuovi soci di Alitalia, e in particolare di Etihad, rompere l’alleanza cui fa capo il business delle miglia e gli accordi sulla distribuzione dei biglietti. Non è politica di Etihad interessarsi delle alleanze in cui sono inserite le compagnie partecipate, tant’è vero che la compagnia emiratina acquisendo nel 2011 Air Berlin non è intervenuta sull’alleanza di appartenenza, che era e rimane Oneworld. Il divorzio dai francesi segna il punto più basso di un rapporto nato sotto i migliori auspici nel luglio 2001 con i primi accordi siglati dall’ad Francesco Mengozzi dopo il fallito tentativo di matrimonio con gli olandesi di Klm nel 2000. La quota nella vecchia Alitalia Cai è pari all’1,9%.