Si abbassano i compensi minimi che i giudici possono liquidare agli avvocati. Viceversa, le nuove soglie massime delle parcelle – nei fatti però difficilmente raggiungibili – superano quelle delle vecchie tariffe.
È questo lo scenario con cui i legali si confrontano dallo scorso 23 agosto, data in cui è partita ufficialmente l’applicazione dei «parametri» stabiliti dal ministero della Giustizia con il decreto 140/2012. Una situazione che però potrebbe essere in evoluzione, dopo la disponibilità a rivedere i nuovi importi data venerdì dal ministro della Giustizia, Paola Severino. Si tratta, in pratica, dei valori di riferimento che i giudici possono utilizzare per calcolare i compensi dei professionisti (non solo quelli degli avvocati) quando manca l’accordo con i clienti. Indici, quindi, che si dovrebbero applicare solo in situazioni-limite. Ma che, dopo l’abrogazione delle tariffe, decisa dal decreto legge sulle liberalizzazioni (1/2012), sono rimasti, di fatto, l’unico punto di riferimento per stabilire il valore della prestazione professionale. E gli importi, rispetto a quelli dei vecchi tariffari, in alcuni casi cambiano in modo sensibile.
Lo dimostrano le simulazioni di applicazione dei nuovi parametri, a confronto con le vecchie tariffe, pubblicate qui a fianco. Si tratta di quattro casi specifici, elaborati sulla base delle pratiche che ricorrono più di frequente negli studi, e che spaziano dal processo civile a quello penale a quello tributario fino all’esecuzione. Perlopiù, i compensi minimi che i giudici possono liquidare agli avvocati sulla base dei nuovi parametri scivolano al di sotto dei minimi calcolati con i vecchi tariffari: nella simulazione, per esempio, la difesa di fronte al giudice di pace – che include la fase di studio, introduttiva e decisoria – potrebbe “valere” per l’avvocato 300 euro minimi in base ai parametri, mentre in base alle vecchie tariffe avrebbe potuto portare a una liquidazione minima di 992 euro.
Se il minimo, con i parametri, scende, il massimo, al contrario, a volte sale. Lo dimostra, per esempio, il caso della difesa nel processo penale: a fronte di una liquidazione massima con le tariffe di 1.761 euro, oggi all’avvocato potrebbe spettare un compenso fino a 1.875 euro. Scarsa consolazione per gli avvocati. «L’innalzamento dei massimi non ci interessa – afferma Andrea Mascherin, consigliere segretario del Consiglio nazionale forense –: è chiaro che le valutazioni delle prestazioni da parte dei giudici cambiano caso per caso, ma, in generale, è raro che i compensi siano liquidati al massimo».
Piuttosto, a preoccupare gli avvocati è, in generale, la compressione degli importi dei parametri, denunciata in un documento elaborato dall’ufficio studi del Consiglio nazionale forense e consegnato nei giorni scorsi al ministro Severino. In particolare, i legali hanno messo l’accento sulla cancellazione dei «diritti» (voci di compenso che erano presenti nelle tariffe), sul mancato adeguamento all’indice Istat per il periodo 2009-2012 e sull’eliminazione del rimborso per le spese generali che, nel tariffario, era calcolato in modo forfettario al 12,5 per cento. Non solo: «È vergognoso – attacca Mascherin – anche l’abbattimento degli onorari per il patrocinio a spese dello Stato: questa scelta rischia di scoraggiare i difensori e penalizzare i cittadini più deboli».
Gli avvocati, quindi, non ci stanno: «Siamo pronti – dice Mascherin – a impugnare il decreto sui parametri di fronte al Tar Lazio. Ma se le nostre osservazioni verranno accolte lasceremo perdere il ricorso».
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Il Sole 24 Ore
01/10/12
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