28.04.2011

Accertamenti esecutivi «pesanti»

  • Il Sole 24 Ore

di Marco Mobili

Dall'accertamento esecutivo all'abuso del diritto, senza dimenticare la pressione fiscale che non scende e il "grande Totem" delle semplificazioni degli adempimenti. Si è mosso a tutto a campo il presidente dei dottori commercialisti, Claudio Siciliotti, nell'audizione di ieri in Commissione Finanze della Camera sull'abuso del diritto.

Un intervento con un solo filo conduttore: la certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuenti. E al primo punto è finito l'accertamento esecutivo: «una misura che a partire dal prossimo 1° luglio costerà ai contribuenti italiani ben due miliardi di euro». E ben venga una sua possibile modifica (si veda Il Sole 24 Ore del 21 aprile scorso), ha sottolineato Siciliotti. I commercialisti, pur concordando sulla necessità di rendere la riscossione più efficiente, non condividono un sistema «in cui non è l'eccezione, bensì la regola, essere costretti a pagare prima di essere giudicati in primo grado da un organo giurisdizionale terzo rispetto all'amministrazione finanziaria».

Il conto dell'anticipo che peserà sui contribuenti in lite con il fisco dal prossimo 1° luglio è presto fatto e poggia su quel 41% di vittorie dei contribuenti in primo grado, che secondo i dati del Consiglio della giustizia tributaria corrispondono a contestazioni per circa 5,7 miliardi di euro. Considerato che i contribuenti che dal 1° luglio riceveranno un accertamento del fisco dovranno versare il 50% delle maggiori imposte contestate e degli interessi (sanzioni escluse), i commercialisti ipotizzano «un solve et repete di poco superiore ai due miliardi di euro».

Appoggio più che scontato alle dichiarazioni del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, sulla necessità di liberare le imprese dal rischio di oppressione fiscale e dai troppi controlli. «Non c'è e non c'è mai stata nessuna volontà di coprire l'evasione. La lotta all'evasione fiscale giustifica sacrifici, ma gli eccessi, anche se animati da buone intenzioni, finiscono spesso per essere controproducenti». E queste cose, ha voluto precisare Siciliotti, i commercialisti le hanno viste prima, sia come tecnici preparati sia perché consulenti di oltre il 60% delle partite Iva. Tre le direttrici immediate su cui occorre invertire la rotta per semplificare la vita alle imprese: snellire gli adempimenti di chi opera con l'estero. Troppi modelli da presentare, un prospetto Intrastat unico nel panorama europeo che richiede troppi dati e che alla fine è sinonimo di errori e sanzioni; sblocco definitivo della compensabilità dei crediti vantati dalle imprese con la Pa con i debiti verso l'Erario. Oggi il rapporto è sbilanciato verso il fisco con la sola entrata in vigore dal 1° gennaio scorso del blocco delle compensazioni per chi ha debiti con l'Erario superiori a 1.500 euro; infine, nessuna identificazione con codice fiscale – come già promesso dallo stesso direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera – in caso di acquisti superiori a 3.600 euro con carte di credito o assegni bancari. In sostanza uno spesometro snello che registri soltanto i movimenti in contanti.

Sulla necessità di una codificazione dell'abuso del diritto i commercialisti in prima battuta chiedono un intervento organico e non più emergenziale da realizzare – come ha precisato il coordinatore del centro studi del Consiglio nazionale, Enrico Zanetti – con la riforma fiscale allo studio dell'Economia. In caso di interventi "fuori riforma" la categoria condivide la modifica oggi all'esame della Commissione Finanze e proposta da Maurizio Leo (Pdl) volta a modificare l'articolo 37-bis del Dpr 600/73 sulle fattispecie inopponibili al fisco, sulla ricezione dell'avviso di accertamento e sull'applicazione delle norme in materia di abuso alle imposte sui redditi e indirette, alle tasse e a ogni altra prestazione di natura tributaria (AC 2521). Proposta, ha aggiunto Zanetti, che va però integrata dalle altre proposte di legge (Strizzolo, Ceccuzzi, Fogliardi e Jannone) almeno nella parte in cui prevedono la facoltà per il contribuente «di scegliere le forme negoziali e i modelli organizzativi che comportano l'applicazione del regime fiscale a lui più favorevoli».

Respinte le ipotesi di codificazione dell'abuso del diritto ipotizzate a titolo di studio dal presidente della Commissione Finanze, Gianfranco Conte (Pdl): disciplinare l'abuso nel tutoroggio alle grandi imprese, ovvero farlo rientrare nel nuovo articolo 41 della Costituzione sulla libertà d'impresa. Due vie giudicate impercorribili: nel primo caso la certezza del diritto non può essere assicurata in via amministrativa, per altro da chi non è in una posizione di terzietà; la seconda è superata dalla stessa corte di Cassazione che ha riconosciuto il principio dell'abuso del diritto nell'articolo 53 della Costituzione sulla capacità contributiva e dunque prevalente in ambito tributario.