Così l’economia Usa, che da tempo cresceva a un ritmo medio del 3 per cento, ha subito un’improvvisa battuta d’arresto. I dati provvisori diffusi un mese fa indicavano “crescita zero” (+0,1 per cento del Pil). Quelli ufficializzati ieri dopo le necessarie verifiche segnalano addirittura un -1 per cento: un altro trimestre così e l’America sarebbe di nuovo in recessione. Ma non succederà. Anzi, gli economisti prevedono un rimbalzo col Pil del secondo trimestre che potrebbe crescere addirittura del 4 per cento.
Che non ci siano ragioni d’allarme è dimostrato anche dalla reazione della Borsa Usa che ieri non solo non si è fatta prendere dal panico, ma ha registrato una moderata crescita: gli operatori si sono concentrati sulle buone prospettive del secondo trimestre anziché sul saldo negativo dei tre mesi già archiviati. I cui numeri devono, comunque, far riflettere sulla fragilità della ripresa americana. Il sistema è solido ed è tornato a produrre posti di lavoro, ma imprese e investitori restano prudenti: non si temono più crolli, lo spettro della deflazione si è in gran parte dissolto, ma non ci si illude nemmeno che il Paese possa tornare agli elevati tassi di crescita che un tempo caratterizzavano l’uscita dalle recessioni.
La debolezza dei numeri del trimestre scorso, oltre che dai fattori meteorologici, è legata alle scelte delle imprese che hanno rallentato la ricostituzione delle scorte di magazzino: evidentemente non ci si attende una forte ripresa dei consumi. E anche gli investimenti in immobili residenziali e industriali, che negli ultimi due anni erano risultati piuttosto dinamici, hanno subito un netto rallentamento. Qui bisognerà esaminare con molta attenzione i dati dei prossimi trimestri per capire se anche qui la battuta d’arresto sia stata causata dal “generale inverno” o se, con l’aumento dei tassi d’interesse, si stia fermando quella corsa all’acquisto delle case che negli ultimi due anni ha contribuito non poco a ridare slancio all’economia.
Per adesso, comunque, non scatta nessun allarme. La Federal Reserve continua a parlare di prospettive di crescita per l’economia e, del resto, l’ultimo taglio dei sostegni monetari al sistema produttivo (un’altra riduzione di 10 miliardi di dollari dei titoli acquistati mensilmente sul mercato) è stato deciso un mese fa proprio all’indomani della comunicazione dei dati negativi del Pil del primo trimestre. La Fed guarda soprattutto alle condizioni del mercato del lavoro e sembra tranquillizzata dai numeri che segnalano una progressiva riduzione del numero dei disoccupati, anche se la cifra complessiva degli impieghi non è cresciuta di molto. E qui, in attesa dei dati consuntivi del mese di maggio, ci sono già alcuni segnali positivi come il calo (meno 27 mila) delle nuove domande per sussidi di disoccupazione federali. Il numero complessivo delle richieste è sceso al livello più basso dall’agosto 2007, quando mancava ancora un anno al crollo della Lehman Brothers ma l’America, senza saperlo, stava già entrando in recessione.