Consumi in caduta libera. Con il dato Istat sulle vendite al dettaglio di giugno, su 17 mesi consecutivi solo due hanno registrato una variazione congiunturale positiva. E ora la caduta della domanda, dopo mobili, calzature ed elettrodomestici, investe i beni primari, come gli alimenti e i farmaceutici.
In dettaglio, l’indice destagionalizzato delle vendite arretra dello 0,2% rispetto al mese di maggio. Su base annuale il calo è del 3%, con il -2,9% degli alimentari e il -3,1% del non food. Si è quindi ristretta la forbice tra i due comparti. Come tende a chiudersi anche quella relativa ai canali distributivi: la grande distribuzione perde il 2,3% delle vendite, non molto distante dal -3,6% del piccolo commercio. Insomma la crisi della domanda investe in pieno anche le catene commerciali, e, al suo interno, la stasi si allarga dall’iper al supermercato. Solo i discount tengono le posizioni (+0,8% nel semestre) ma non corrono più come nel precedente biennio.
«In pratica – commenta il presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua Magliani – il fatturato delle vendite alimentari del Paese, al netto dell’effetto prezzi, scende nel semestre di 4-5 punti percentuali rispetto a quello già critico del gennaio-giugno 2012. In questo contesto asfittico, pensare di appesantire l’Iva, in modo spalmato o selettivo avrebbe comunque effetti deleteri, allontanando in modo drammatico ogni prospettiva di ristoro per imprese e famiglie».
Per quanto riguarda il valore delle vendite di prodotti non alimentari, a giugno l’Istat registra variazioni tendenziali negative per tutti, non si salva nessuno. Le flessioni di maggiore entità riguardano elettrodomestici e Tv (-5,9%), prodotti farmaceutici (-4,6%), foto-ottica e casalinghi (-4,2%), mobili e arredamento (-3,1%) ; quelle più contenute riguardano gli utensili per la casa (-0,6%), informatica e telefonia (-1,3%).
Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio, sottolinea che «le vendite di giugno dimostrano come i deboli e ancora incerti segnali di ripresa dell’economia non abbiano prodotto alcun effetto sui consumi delle famiglie». Secondo Confcommercio il calo delle vendite, a valore, del 3% del primo semestre corrisponde a una una flessione dei volumi acquistati del 4,4% rispetto alla prima parte del 2012.
«Rimane, dunque, prioritario – conclude Bella – evitare l’aumento dell’Iva dal 21 al 22%. E sarebbe peraltro impensabile ricorrervi per reperire le risorse necessarie per eliminare l’Imu: di tutto c’é bisogno fuorché di un aumento di imposizione fiscale che stroncherebbe sul nascere la ripresa dei consumi».
Sulla stessa lunghezza d’onda Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione: «Sollecitiamo il governo a trovare le risorse per scongiurare definitivamente l’aumento del l’Iva previsto a ottobre: avrebbe un impatto fortemente negativo sui portafogli delle famiglie, rallentando ulteriormente la dinamica della domanda interna».
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Il Sole 24 Ore
29/08/13
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