12.04.2017

Juncker: “L’Italia è sulla strada del risanamento è impensabile che stia fuori dall’euro”

  • La Repubblica
“L’Italia è sulla strada del risanamento è impensabile che stia fuori dall’euro”
Sull’immigrazione, però, ci avete lasciati soli…
«Questo non è vero. Fin dall’inizio ho detto che la tragedia dell’immigrazione non può essere un problema solo della Grecia o dell’Italia ma deve essere trattato come un problema europeo. Per questo abbiamo presentato le proposte per la redistribuzione dei richiedenti asilo e abbiamo rafforzato il sistema di accoglienza e registrazione dei profughi in supporto degli sforzi italiani. Che sono enormi. L’Italia meriterebbe il Nobel per la pace in considerazione di quello che fa per salvare vite umane nel Mediterraneo ».
Però non tutti i Paesi hanno seguito le vostre indicazioni. Agirete contro di loro?
«Se avessi seguito il mio istinto lo avrei già fatto tempo fa, ma non avrebbe portato a nulla. Invece mi sforzo di trovare soluzioni che aiutino a risolvere la situazione. Come mi ostino a spiegare, la solidarietà è indivisibile. Oggi aiuti l’Italia. Domani può toccare a qualcun altro dover far fronte ad un’emergenza migratoria, magari dall’Ucraina».
Parlare di rifugiati oggi vuol dire anche parlare del pupulismo che li demonizza e che sta dilagando in Europa e contro l’Europa. Come si può affrontarlo?
«Tutta la mia vita mi sono battuto contro l’estrema destra, che si riassume nel rifiuto dell’altro. Ne ho orrore. Sapete, io sono cresciuto nel sud del Lussemburgo in pieno boom dell’immigrazione italiana. Alle elementari nella mia classe ogni giorno arrivava un nuovo bambino italiano. Mi ricordo di Silvana, di Luigi. Piangevano perchè non capivano una parola di francese. E già allora c’era gente che non li voleva e non li amava. Ieri erano gli italiani, oggi sono i migranti del Sud del mondo. Ci sono differenze, ovviamente, ma la tragedia è la stessa. E però credo che sia un grave errore non fare la distinzione tra i diversi populismi» Diversi come?
«Da una parte ci sono i populsiti radicali, che sono contro l’Europa, che rifiutano gli altri. Con loro non si può avere dialogo. E poi ci sono quelli che dubitano dell’Europa, che pongono domande e che spesso non ricevono risposte adeguate. Li definirei europessimisti. Con loro si può e si deve discutere. Si fanno e ci fanno domande che spesso mi faccio anche io».
Sta parlando dei Cinquestelle?
«Non conosco il programma dei Cinquestelle, anche perchè ho il sospetto che non esista. Ma quando mi rivolgono interrogazioni al Parlamento europeo, capisco le loro domande e cerco volentieri di rispondere come meglio posso».
Nel primo genere di populisti si colloca certamente Marine Le Pen. L’Europa potrebbe sopravvivere a una sua vittoria?
«Spero che vincano le forze pro-Europa in Francia e mi schiero a tutto campo con loro. Non vorrei neppure sminuire il rischio che Le Pen rappresenta, che è serio. Ma credo anche che l’Europa sia più forte dell’estrema destra. L’identità dell’Europa è profonda e viene da molto lontano. Credo che l’Europa avrà la forza di superare questa difficoltà, che durerà forse a lungo ma sarà comunque transitoria».
Mentre parliamo, la flotta americana fa rotta verso la Corea del Nord. Dica la verità, Trump le fa paura o si fida di lui?
«Osservo il presidente Trump con benevolenza crescente. Credo che cominci a sentire il respiro della Storia, che è un respiro lungo, quasi eterno rispetto al nostro ansimare. La Storia ci trascende e noi ne abbiamo in cura solo un minuscolo frammento. Il nostro compito è costruire l’avvenire: se sbagliamo oggi, i nostri figli e nipoti ne pagheranno il prezzo. Penso che Trump cominci a rendersene conto».
Anche se incita al disgregamento della Ue?
«Scherzando, ho detto che se insiste su questa strada io mi metterò a sostenere l’uscita dell’Ohio o della California dagli Usa. Mi hanno riferito che non l’ha presa bene. Battute a parte, se l’Europa si disfacesse, il primo risultato sarebbe la guerra nei Balcani occidentali. Non credo che sarebbe nell’interesse di nessuno».
Però è la prima volta, dalla crisi di Suez del ’56, che l’Europa si trova a misurarsi con atteggiamenti poco amichevoli sia da parte americana sia da parte russa. Come si deve reagire?
«Gli Stati Uniti hanno sempre chiesto più integrazione europea. È un riflesso che viene dalla Storia. Molti americani sono morti per la nostra liberazione. L’Europa è disseminata di cimiteri di guerra americani. Non credo che lo abbiano dimenticato o che vogliano dimenticarlo. Abbiamo una storia comune che ci lega al di là delle contingenze».
E i russi?
«Anche i russi hanno avuto molti morti nella Seconda Guerra mondiale, e non lo dimenticano certo. Dobbiamo trovare con la Russia una convergenza di interessi, pur senza dimenticare il mancato rispetto degli accordi di Minsk o l’annessione della Crimea. Putin è un amico che non sempre rispetta tutti i doveri dell’amicizia. Ma pensare di poter definire un quadro della sicurezza europea senza la Russia è una pia illusione. E un’illusione pericolosa».
«Non ho ancora visto nel dettaglio il Def e la manovra correttiva, per cui non posso dare un giudizio ciscostanziato. Ma certamente l’impegno del governo italiano va nella buona direzione. Siamo continuamente in contatto sia con Gentiloni, che è il buon senso fatto premier, sia con Padoan, che è un ottimo ministro.L’Italia sta facendo grandi sforzi per tenere sotto controllo il proprio deficit pubblico. Tuttavia, sul medio e lungo periodo, per salvare se stessi e l’Unione monetaria, è necessario che gli italiani risanino in modo decisivo le proprie finanze pubbliche e in particolare il loro enorme debito».
Nel suo ufficio al tredicesimo piano di Palazzo Berlaymont Jean-Claude Juncker si toglie la giacca, si sfila la cravatta rosa e sbottona il colletto della camicia. Arrivato a metà del suo mandato come presidente della Commissione europea, fa il punto su questa Europa apparentemente schiacciata tra Trump e Putin e divorata dal tarlo del populismo. E sull’Italia che, dice, «ha tutti gli strumenti per essere una forza motrice dell’ Ue» e che «meriterebbe il premio Nobel per la pace in considerazione di quello che fa per salvare vite umane nel Mediterraneo».
Presidente, lei parla di finanze pubbliche, ma non crede che il vero problema dell’Italia sia la sua continua perdita di competitività? Fino a quando, se continua così, potremo restare nell’euro?
«Intanto mettiamo subito in chiaro che escludo un’uscita dell’Italia dall’euro. Detto questo, mi rattrista vedere che il Paese perde competitività di giorno in giorno, di anno in anno. Ci sono riforme strutturali importanti che vanno fatte, sia pure con saggezza. L’Italia deve ritrovare un tasso di crescita che oggi è troppo debole. L’Europa le ha ha dato spazi che occorre saper sfruttare. La flessibilità ha permesso al Paese un margine di manovra senza che la mannaia del Patto di stabilità gli cadesse sul collo. I bassi tassi praticati dalla Bce offrono una tregua di cui deve saper approfittare. Abbiamo apprezzato la riforma del mercato del lavoro. Osservo con simpatia la serietà e gli sforzi con cui il governo Gentiloni affronta la crisi delle banche. Noi vogliamo che il sistema bancario italiano esca più forte e robusto da questa fase difficile. Vedo gli sforzi per correggere i conti pubblici. Se prende le iniziative giuste, l’Italia ha tutti gli strumenti per diventare una forza motrice dell’Europa».
Eppure gli umori degli italiani sono sempre meno favorevoli all’Europa e all’euro. C’è anche chi, come il Movimento 5 Stelle, vorrebbe un referendum per portare il Paese fuori dalla moneta comune…
«Credo, indipendentemnete dall’opinione degli italiani, che l’euro abbia molto aiutato l’Italia. Ma credo anche che senza l’Italia l’Europa non esisterebbe. Non posso immaginare una Ue priva dell’Italia e del suo apporto: sarebbe antistorico. E qui veniamo al nocciolo del vero problema nel rappporto tra gli italiani e l’Europa».
E cioè?
«L’Italia oggi è ammirata da tutta l’Europa, salvo che dagli italiani. Non siete abbastanza fieri del vostro Paese. Gli italiani danno sempre l’impressione di essere frustrati , quando in realtà sono dei campioni».
Sembra di sentire Matteo Renzi…
«Renzi ha ragione. Non ha ragione quando attacca la Commissione senza motivo. Ma su questo ha ragione. Quando era presidente del Consiglio abbiamo avuto discussioni burrascose. E tuttavia lo apprezzo molto proprio per l’orgoglio che dimostra rispetto al proprio Paese. Un orgoglio che capisco e condivido».