Gli incassi della voluntary disclosure non sono fini a se stessi. I 60 miliardi di euro di capitali nascosti, emersi con la prima edizione della collaborazione volontaria (legge n. 186/2014), sono ora pienamente monitorati dal fisco e continueranno a produrre gettito, sia in termini di imposte sostitutive sui redditi sia in termini di prelievi «patrimoniali» sulle consistenze (bollo, Ivie e Ivafe), anche nei prossimi anni. Ad affermarlo è stata Rossella Orlandi, direttore dell’Agenzia delle entrate, intervenuta in audizione presso la commissione finanze della camera lo scorso 5 aprile.
Un’affermazione che sembra quasi una risposta indiretta al rapporto sul coordinamento della finanza pubblica diffuso lo stesso giorno dalla Corte conti. La voluntary disclosure ha fatto incassare all’erario nel 2016 oltre 4,1 miliardi di euro, che diventano circa 4,6 miliardi considerando i primi versamenti del 2015 e l’ultima «coda» del 2017. «Si tratta di entrate che possono definirsi in parte strutturali, poiché comportano un significativo allargamento della base imponibile per gli anni futuri», ha spiegato Orlandi, «oltre che un patrimonio informativo classificato con una specifica applicazione che è destinato ad affinare e condizionare in positivo le ulteriori e future azioni di deterrenza».