Il Tribunale di Verona con una recente ordinanza ha affrontato il tema della mediazione, così come modificata dal D.M. 24 ottobre 2023, n. 150, e della compatibilità con i principi fondamentali dell’Unione Europea, con particolare riferimento ai costi che essa ingenera.
Nel caso di specie, parte ricorrente ha adito il Tribunale – senza preliminarmente attivare la mediazione – per ottenere un risarcimento danni a seguito di asserito inadempimento per negligenza ed imperizia del resistente (avvocato) con il quale aveva concluso un contratto di prestazione d’opera professionale per assistenza giudiziale.
Ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. 28/2010, come sostituito dall’art. 7, lett. e) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, tra le materie che prevedono l’esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria vi sono quelle relative al contratto d’opera, che si distingue dal contratto di prestazione d’opera intellettuale (oggetto del giudizio in esame), ma il Giudice nel procedimento che ci occupa ha (erroneamente) ritenuto applicabile la mediazione obbligatoria anche a quest’ultimo.
Il Giudice veronese ha inizialmente chiarito come, fermo quanto sopra, la mediazione sarebbe stata obbligatoria. Tuttavia, proseguendo, ha rilevato profili di incompatibilità tra le norme che prevedono la mediazione come obbligatoria e i principi fondamentali dell’Unione Europea. Nel dettaglio, ad avviso del Tribunale, la disciplina nazionale della mediazione pare essere in contrasto con i principi sanciti dagli artt. 6 e 13 della CEDU e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Infatti, la Corte di Giustizia con la Sentenza n. 457 del 14.07.2017 (ed in precedenza con la Sentenza Alassini del 18.03.2010) ha affermato che il giudizio di compatibilità può essere espresso ove la procedura soddisfi contemporaneamente quattro requisiti: i) non conduca a decisione vincolante per le parti; ii) non comporti un sostanziale ritardo nella proposizione di un ricorso giurisdizionale; iii) non sospenda la prescrizione o la decadenza; iv) non generi costi o non generi ingenti costi per le parti.
Alla luce di quanto sopra, la disciplina nazionale si troverebbe in contrasto con il quarto presupposto, comportando – anche alla luce della recente riforma – costi non irrisori per le parti.
Invero, con l’entrata in vigore del D.M. 150/2023 sono state introdotte importanti novità in tema di criteri di determinazione delle spese e dei compensi per l’attività di mediazione (artt. 28-32). Nel dettaglio, per il primo incontro di mediazione sono previste le spese vive di avvio variabili in base al valore della lite da Euro 40,00 a Euro 110,00 e le spese vive di mediazione variabili in base al valore della lite da Euro 60,00 ad Euro 170,00, a cui devono essere aggiunte le spese per l’assistenza professionale. Le somme così quantificate devono essere ridotte di un quinto laddove la mediazione è condizione di procedibilità della domanda o quando è demandata dal giudice.
Nel caso de quo, il Giudice, considerando che le spese di avvio della mediazione oltre al compenso dell’avvocato si aggiravano tra € 364,00 e € 1.596,00, in base al valore della causa, ha affermato che le spese di mediazione non possono considerarsi poco significative (anche tenendo conto delle agevolazioni fiscali, quali il credito di imposta).
In conclusione, il Giudice ha ritenuto di disapplicare la normativa italiana (art. 5, comma 1, D. lgs. 28/2010) in quanto in contrasto con i principi dell’Unione Europea, esonerando parte ricorrente dall’attivare il procedimento di mediazione, seppure (erroneamente) ritenuta obbligatoria.