Con la sentenza n. 3452/2024 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno fatto luce sulla simmetria che deve esistere tra istanza di mediazione e domanda giudiziale.
Nel 2012 un giudice della Corte d’Appello di Milano, previo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, citava in giudizio alcuni giornali, chiedendo che venissero condannati in solido a risarcire il danno da lui subito a causa di alcune dichiarazioni dal taglio diffamatorio rese in un programma televisivo, riguardanti la sua persona. Il Tribunale adito condannava le società al pagamento di euro 160.000,00, rigettando però la domanda accessoria di rimozione degli articoli dalle testate.
I giornali appellavano la decisione presso la Corte d’Appello di Brescia, che riformava parzialmente la sentenza, riducendo l’importo della condanna. La Corte, ritenendo parzialmente fondati gli appelli proposti, evidenziava che, per poter ritenere esperito correttamente il tentativo di mediazione, fosse necessaria l’esatta corrispondenza tra petitum e causa petendi, dell’istanza di mediazione e della successiva domanda giudiziale.
Il giudice diffamato, contro la sentenza n. 275/2023 della Corte d’Appello di Brescia, proponeva ricorso in Cassazione per sei motivi, dei quali i primi due appaiono particolarmente interessanti.
Con il primo motivo, il ricorrente riteneva nulla la sentenza impugnata in quanto nel giudizio ad essa sotteso sarebbero stati violati/falsamente applicati gli artt. 4 e 5 del d.lgs. 28/2010, giacché la Corte avrebbe ingiustamente escluso dall’oggetto della cognizione talune dichiarazioni diffamatorie contestate in giudizio (quelle rese sui giornali, ndr).
In relazione a tali dichiarazioni non era stato compiuto il procedimento di mediazione obbligatoria e la Corte, sacrificando la necessaria corrispondenza che deve esistere tra istanza di mediazione e domanda giudiziale, non ne aveva ordinato l’integrazione.
Con il secondo motivo, il ricorrente riteneva nulla la sentenza impugnata, in quanto la Corte aveva omesso l’esame del fatto, decisivo e oggetto di discussione tra le parti, relativo allo svolgimento, in grado di appello, di un nuovo procedimento di mediazione disposto su ordine del giudice stesso.
La Suprema Corte, nella decisione in esame, ha ritenuto fondati i primi due motivi riguardanti entrambi il tema della simmetria tra istanza di mediazione e domanda giudiziale; richiamando altre pronunce simili (si veda, ex plurimis, Cass. 23072/2022), le SS. UU. hanno chiarito che in tema di mediazione obbligatoria, laddove il convenuto proponga l’eccezione di improcedibilità per mancato espletamento della mediazione e il giudice ritenga che non andasse esperita, la nullità può (e deve) essere fatta valere mediante appello.
In questo caso, il giudice d’appello è tenuto ad assegnare alle parti un nuovo termine per esperire il tentativo a pena di dichiarazione di improcedibilità della domanda.
La Corte distrettuale ha invitato le parti a tentare la mediazione che, a quel punto della lite, non poteva che riguardare l’intero oggetto del processo, ovvero la complessiva domanda risarcitoria come formulata.
La Suprema Corte argomenta successivamente sul tema della finalità della mediazione, che è strettamente legata all’economicità processuale, nel senso che deve evitare il proliferare di cause perseguendo uno scopo deflattivo. L’art. 5 del d.lgs. 28/2010 elenca le materie con obbligo di mediazione proprio per evitare l’introduzione della lite ed assicurare una maggior rapidità del processo. L’istituto della mediazione, infatti, non può e non deve essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità, né essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia.
In ultima analisi, dal momento che il giudice d’appello aveva correttamente invitato le parti ad esperire un nuovo tentativo di conciliazione, a maggior ragione avrebbe dovuto considerare come rientrante nella domanda risarcitoria anche gli articoli di stampa successivi; invece, la Corte ha erroneamente escluso della propria valutazione i fatti successivi denunciati, configurando un maggior danno al giudice diffamato. Il ricorso è stato pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione, per un nuovo esame.