La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi con riguardo alla natura del termine assegnato dal Giudice per introdurre il procedimento di mediazione, concludendo per la sua non perentorietà.
Richiamando un precedente della stessa Corte (Cassazione n. 40035/2021), i giudici hanno evidenziato che le ragioni della non perentorietà risiedono:
- nell’assenza di una espressa sanzione di improcedibilità, qualora la mediazione delegata venga attivata oltre il termine di 15 giorni;
- nella circostanza per cui l’attivazione della mediazione delegata non costituisce attività giurisdizionale e, dunque, non possono essere applicati termini perentori in assenza di una espressa previsione legislativa;
- nel fatto che il Giudice, dopo aver assegnato il termine, fissa la nuova udienza tenendo conto del tempo massimo previsto per la durata della mediazione;
- nella ratio della mediazione disposta dal Giudice, che è volta alla ricerca della migliore soluzione possibile per le parti. Altrimenti si “finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l’operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo”.
La Cassazione ha, quindi, affermato che tali principi, dettati in tema di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, comma 2 D. Lgs. 28/2010, trovano applicazione anche con riferimento alla mediazione obbligatoria ex lege.
Nel caso di specie, l’intero procedimento di mediazione si era svolto dopo l’emissione dell’ordinanza di remissione all’udienza di verifica e si era concluso (con esito negativo) prima dell’udienza di rinvio.
Per tale ragione, la Suprema Corte ha ritenuto errata la decisione dei giudici di appello, che avevano dichiarato improcedibile la causa per tardività della mediazione, e ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’Appello per l’esame del merito.