Il tribunale di Nuoro con una recente sentenza ha confermato l’orientamento per cui, l’eventuale asimmetria tra il contenuto della domanda di mediazione e quello della domanda giudiziale, quantomeno con riferimento alle “ragioni della pretesa”, è causa di improcedibilità del giudizio.
Nel caso de quo, una società adiva il Tribunale al fine di far dichiarare nulla una delibera assunta nel corso di una assemblea condominiale, relativamente a due punti all’ordine del giorno. Il condominio, costituendosi, chiedeva di dichiarare improcedibili le domande avversarie.
Come è noto, le questioni che attengono alla materia condominiale, ai sensi dell’art. 5 D.lgs. 28/2010, prevedono il tentativo di mediazione obbligatorio e, pertanto, l’attore depositava istanza di mediazione presso l’organismo competente. Successivamente, nel corso del procedimento giudiziale, il Giudice rinveniva però una differenza tra l’istanza di mediazione, recante la sommaria indicazione “impugnazione delibera assembleare del 21 agosto 2019”, e l’atto di citazione che analizzava nello specifico i punti 1 e 4 della delibera impugnata.
Il giudice, con la Sentenza in commento, ha dunque dichiarato l’improcedibilità della domanda attorea per violazione dell’art. 4, D.lgs. 28/2010.
Infatti, a mente dell’art. 4, comma 2, del predetto Decreto Legislativo “la domanda di mediazione deve indicare l’organismo, le parti e l’oggetto e le ragioni della pretesa” e tale previsione è pressoché equivalente a quanto dettato dall’art. 125 c.p.c., ove sono contenuti gli elementi essenziali di un atto introduttivo del giudizio, tra cui “l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni”.
Pertanto, affinché il tentativo di mediazione obbligatorio possa dirsi validamente esperito, è necessario che l’oggetto del successivo procedimento corrisponda a quanto indicato nell’istanza di mediazione. Al contrario, la domanda giudiziale apparirebbe come “nuova” e la parte convenuta, innanzitutto, non verrebbe posta nelle condizioni di conoscere la materia del contendere e, di conseguenza, non potrebbe prendere adeguate posizioni su di essa. Tutto ciò inficerebbe lo strumento della mediazione che ha una precisa funzione deflattiva, al fine di rendere il processo l’extrema ratio (come chiarito nella nota pronuncia della Suprema Corte di Cassazione con la Sentenza n. 24629 del 7 ottobre 2015).
In conclusione, vi deve essere simmetria tra i fatti rappresentati in sede di mediazione e quanto esposto in sede processuale, poiché – in difetto – il procedimento di mediazione non potrebbe considerarsi correttamente svolto e, quindi, la condizione di procedibilità non potrebbe ritenersi assolta.